medio oriente

Sono iniziati i preparativi per l'attacco di Israele a Rafah

Micol Flammini

L'esercito ha chiesto alla popolazione di lasciare la zona, ha lanciato volantini con le mappe che indicano dove andare. I negoziati non sono ancora collassati, ma la pressione su Hamas adesso viene da Rafah e da Doha, dove si trova il direttore della Cia Bill Burns

Sabato sembrava che il sollievo per una giornata di mediazione positiva stesse quasi per portare a un annuncio: ci siamo, l’accordo è possibile. Ieri invece i negoziati erano vicini al collasso dopo i dieci razzi sparatai da Hamas e partiti da un’area vicina a Rafah, nel sud della Striscia e diretti verso Kerem Shalom, non lontano da uno dei valichi che dividono Israele dalla Striscia di Gaza. Sono morti tre soldati, ne sono stati feriti undici, il numero totale dei soldati israeliani morti dall’inizio della guerra è di 266. Il valico è stato chiuso e non potrà essere usato per portare rifornimenti dentro la Striscia. Il direttore della Cia Bill Burns in quelle ore era al Cairo, dove erano riuniti tutti i mediatori in attesa che Hamas accettasse l’ultima proposta per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Il gruppo, ancora una volta, ha risposto che non accetterà un accordo che non porti alla fine della guerra ma ha lasciato uno spiraglio al negoziato. Hamas più che all’accordo è interessato a questa fase di colloqui, vuole che duri a lungo, rimanda il momento della decisione e Israele ha imposto un ultimatum, dando al gruppo una settimana di tempo per negoziare, dopo la quale o si stringe un accordo o parte l’offensiva contro la città di Rafah. Burns alla fine di una giornata in cui ogni possibilità di continuare a parlare sembrava essere fallita è andato a Doha, il Qatar ha una grande leva, ancora non utilizzata, per fare pressione su Hamas, minacciando di cacciare i suoi leader che da anni vivono nel paese. L’altra leva è nelle mani di Israele, che ha fatto patire i preparativi per l’offensiva contro Rafah. Alcuni funzionari israeliani hanno raccontato al New York Times che sarebbe stata l'insistenza del premier Benjamin Netanyahu su un'operazione a Rafah con o senza accordo a inasprire le posizioni di Hamas. Gli americani non hanno confermato. 

 

Durante la notte sono state colpite le postazioni da cui è partito l’attacco contro Kerem Shalom e, questa mattina, l’esercito israeliano ha iniziato a chiedere ai palestinesi di evacuare i quartieri orientali di Rafah, e di trasferirsi nelle zone di al Mawasi e di Khan Younis. Il metodo usato da Tsahal è sempre lo stesso: gettare volantini dal cielo, chiamare i civili, dare istruzioni sulle aree che devono essere evacuate e su quali sono i percorsi per raggiungere la zona umanitaria. In tutta la Striscia sono rimasti sei battaglioni di Hamas, due sono nella parte centrale di Gaza, quattro sono a Rafah, uno proprio nella parte est della zona, quella che Tsahal ha iniziato a evacuare, chiedendo a circa centomila persone di spostarsi. 

 

 

Nei volantini lanciati dall’esercito, viene spiegato in quali zone continueranno le consegne di aiuti umanitari, viene detto alla popolazione di non avvicinarsi ai confini con Israele e con l’Egitto: “E’ vietato avvicinarsi alle recinzioni orientali e meridionali”. Due settimane fa, durante un incontro con funzionari egiziani, Israele aveva messo al corrente il Cairo di come si sarebbe svolta l’operazione, l’Egitto aveva voluto rassicurazione sui piani di evacuazione. Gli Stati Uniti  – che la scorsa settimana, secondo un’esclusiva di Axios, hanno bloccato una consegna di munizioni a Israele – hanno detto che non approveranno mai un’offensiva a Rafah senza un piano di evacuazione per i civili dettagliato. Ieri sera, il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha chiamato il suo omologo americano Lloyd Austin, ha detto che a Israele non è rimasta altra scelta se non iniziare l’attacco contro Rafah. I futuri rapporti di Israele con i suoi alleati, il sostegno che saranno disposti a concedergli in futuro, dipenderanno da questa fase di evacuazione.

 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.