L'approfondimento

L'Iran spiegato agli universitari su Marte

Daniela Santus

Antisemitismo, diritti negati, violenza istituzionalizzata: un regime da conoscere prima di boicottare Israele

I

Il territorio iraniano coincide all’incirca con il nucleo storico dell’antica Persia, nome con cui il paese è stato definito fino al 1935. La sua storia è plurimillenaria e viene fatta risalire all’VIII secolo a.C., mentre la colonizzazione islamica incomincia nel 634 d.C., spazzando via quasi del tutto la locale fede zoroastriana.


Chi era lo Shah di Persia. Durante la Prima guerra mondiale, nonostante la Persia avesse dichiarato la propria neutralità, il paese viene occupato dagli inglesi e dai russi. Risale al 1921 il colpo di stato con cui Reza Shah stabilisce la dittatura militare: nel 1923 diviene primo ministro, nel 1925 Shah di Persia, dando origine alla dinastia dei Pahlevi. Dopo alterne vicende, legate al secondo conflitto, il 16 settembre 1941 Reza Pahlevi abdica in favore del figlio Mohammad Reza Pahlevi. Il dopoguerra sarà caratterizzato da una costante modernizzazione e occidentalizzazione del paese che, col passare degli anni, scatena la sempre più feroce opposizione dei leader religiosi sciiti: gli ayatollah. Lo Shah aveva infatti concesso il diritto di voto alle donne, aveva permesso loro di poter frequentare scuole superiori e università, di poter richiedere il divorzio, di poter accedere all’aborto e aveva innalzato a 18 anni l’età minima per contrarre matrimonio. Proprio a causa di ciò, tra il 1976 e il 1979 la situazione precipita e lo Shah è costretto a scappare in esilio con la sua famiglia.


La rivoluzione islamica. Nel marzo 1979, a seguito di un referendum, nasce la Repubblica Islamica guidata da Khomeini. Viene reintrodotta la shari’a e, con essa, tutta una serie di discriminazioni contro le donne: dall’obbligo di indossare lo chador alla pena di morte per lapidazione in caso di adulterio. Le norme sul divorzio che erano state introdotte dallo Shah vengono considerate illegittime: le donne divorziate e risposate sono accusate di adulterio e pertanto punite. Il successore di Khomeini, nel ruolo di Guida suprema dell’Iran, sarà Khamanei. Vengono reintrodotte le punizioni pubbliche, tramite fustigazione: basta essere sorpresi a consumare alcol o a violare la rigida separazione dei sessi o, se donne, basta che qualche ciocca di capelli fuoriesca dallo chador. Queste regole sono state applicate in maniera più o meno severa a seconda delle regioni e dei periodi. Anche le impiccagioni pubbliche tornano a essere espletate.


Iran e Israele. L’Iran occupa una superficie di 1.650.000 kmq, in altre parole è ampio oltre cinque volte l’Italia, ma soprattutto è 80 volte più grande d’Israele. Quando si parla di proporzionalità, che Israele deve attuare quando mette in atto le sue azioni difensive, difficilmente si pensa all’enormità del pericolo che Israele deve affrontare. Il pericolo è l’Iran, che regge le fila e comanda, come un abile burattinaio, tutta una serie di milizie unite dall’odio verso Israele. Di fatto l’Iran è una vera e propria repubblica teocratica e non ha mai nascosto il suo intento bellicoso verso Israele, un paese infinitesimamente più piccolo. Un calendario a Teheran scandisce, con un conto alla rovescia, il momento in cui lo stato ebraico verrà annientato, secondo una profezia di Khomeini. Non per niente l’Iran è il maggior finanziatore di Hamas e della Jihad islamica, le due principali fazioni islamiste palestinesi attive a Gaza, oltre che di Hezbollah, gli islamisti libanesi.


Davide e Goliath. Avete mai provato a immaginare quanta dose di coraggio sia necessaria ai ragazzi e alle ragazze d’Israele, sulle cui vite pesa l’esistenza stessa del paese, circondati da nemici potenti, enormi e assetati di sangue ebraico? Per provare a comprendere nel dettaglio la situazione di minaccia che il paese si trova a fronteggiare, prendiamo alcuni dati e facciamo un raffronto. L’Iran ha 41.167.711 soldati abili al servizio, 19 sommergibili, 7 fregate, 1 posamine, 319 basi aeree militari, 186 aerei, 129 elicotteri, 65.765 veicoli corazzati e 775 lanciatori mobili per missili. Israele possiede 3.156.142 soldati abili al servizio, tra ragazzi e ragazze, 5 sommergibili, nessuna fregata, nessun posamine, 42 basi aeree militari, 241 aerei, 146 elicotteri, 43.407 veicoli corazzati e 150 lanciatori mobili per missili. A questi numeri, già di per sé significativi, vanno aggiunti gli armamenti delle milizie. Si stima infatti che Hezbollah abbia in suo possesso 150.000 razzi, inclusi missili antinave e missili balistici a corto raggio, che possono raggiungere qualsiasi punto in Israele. Hamas al momento è stato decimato dalla guerra in corso, ma comunque ancora presente in forze a Rafah. Inoltre non possiamo sottovalutare la cosiddetta Resistenza islamica in Iraq, che racchiude tutta una serie di milizie pro-iraniane di cui non si conosce la reale potenza bellica, ma che ha già effettuato diversi attacchi contro Israele, raggiungendo anche Eilat con un drone, oltre che le milizie Houti nello Yemen. Soprattutto, non dimentichiamo che la Russia è uno dei principali fornitori di armi dell’Iran e la collaborazione tra Russia, Iran e Cina si è palesata, anche recentemente, con le esercitazioni militari congiunte dei tre paesi nel golfo di Oman


Iran, conosciamolo meglio. Qualcuno pensa che il problema dell’Iran sia la situazione israelo-palestinese. Tuttavia, se così fosse, l’Iran concentrerebbe il suo risentimento “soltanto” nei confronti dello stato ebraico e “soltanto” nei momenti in cui la pacificazione coi palestinesi appare più lontana. Di fatto così non è. La Repubblica Islamica Iraniana, anche se molti paiono non accorgersene e nessuno la denuncia a qualche corte internazionale, è purtroppo un luogo in cui i diritti umani vengono troppe volte calpestati. E coloro i quali – sino ad ora – hanno maggiormente patito il regime sono stati gli iraniani stessi, il più delle volte nell’indifferente silenzio internazionale. Nelle università italiane, ad esempio, risuona forte la richiesta di boicottaggio delle partnership accademiche con Israele, ma nulla si fa per sostenere gli scienziati, gli intellettuali, gli accademici iraniani non allineati che vengono imprigionati, in Iran, dal regime sciita. Soprattutto se donne. Avete mai sentito parlare di Niloufar Bayani? Probabilmente no. E’ triste a dirsi, ma il fatto di non essere palestinese non le ha offerto le medesime opportunità di solidarietà. Si tratta di una giovane biologa, ambientalista e studiosa di fauna selvatica: i suoi ultimi lavori riguardavano il ghepardo asiatico in via di estinzione. E’ stata torturata e condannata a 10 anni di carcere per “spionaggio” nel 2019, in un processo a porte chiuse, senza avvocato. Come lei altri sette ricercatori. Pensiamo anche a Sedigheh Vasmaghi, una figura che parrebbe inattaccabile: docente universitaria di Teologia all’Università di Teheran. Eppure è stata arrestata nel 2023 per aver scritto alla Guida suprema Khamanei una lettera in cui affermava che il Corano non giustifica l’obbligo, per le donne, di coprire i capelli. La professoressa, come moltissimi altri studiosi, è in carcere senza neppure avere la possibilità di ricevere cure mediche.


L’Iran e le detenzioni dei minori. Fa effettivamente scalpore leggere che, nel 2023, erano detenuti nelle carceri israeliane ben 156 minori, dai media definiti “bambini”, dei quali 146 erano palestinesi. Le età dei detenuti minorenni erano varie: nessuno al di sotto dei 14 anni, 12 avevano tra i 14 e i 16 anni e 146 avevano tra i 16 e i 18 anni. In realtà anche in Italia, seppur non viviamo la situazione di continui attentati e scontri che si vive in Israele, vi sono istituti penali che accolgono minori: nel 2023 le carceri minorili italiane accoglievano quasi 1.200 minorenni, più della metà stranieri. Cosa accade in Iran? Lì la situazione è un poco più complessa che non in Italia o in Israele: la legge iraniana permette la pena di morte a partire dai 9 anni per le bambine e dai 13 anni per i bambini. I dati del 2022 ci dicono che vi erano quasi 90 minorenni rinchiusi nel braccio della morte. Basta davvero poco per finire in carcere, se vivi in Iran. Come ci ha raccontato il Guardian in un suo reportage, Khatereh aveva 13 anni. Era scappata di casa dopo che suo zio l’aveva violentata. Una settimana dopo, un gruppo di giovani l’ha aggredita in un parco a Teheran per stuprarla in gruppo. Per salvarsi aveva tirato fuori un coltello, che aveva con sé in borsa, mettendoli in fuga, ma ferendosi a un braccio. Gli agenti di polizia l’hanno trovata priva di sensi a terra e, dopo le cure, l’hanno trasferita al centro di correzione per minorenni delinquenti, in attesa della condanna a morte per relazione sessuale fuori dal matrimonio.


Antisemitismo. La Guida suprema dell’Iran, e anche il presidente Raisi, si dichiarano antisionisti, ma non antisemiti. La scusa è bell’e pronta: in Iran vive un gruppo di ebrei ultraortodossi – i Neturei Karta – che non riconosce lo Stato d’Israele. E’ incredibile come qualsiasi antisionista, per non essere dichiarato antisemita, abbia pronto un amico ebreo utile allo scopo. Eppure in Iran sono state diverse le occasioni che hanno fatto pensare che si trattasse proprio di antisemitismo: ne citiamo soltanto due. Nel 1999, ad esempio, vennero arrestati 13 ebrei iraniani con l’accusa di spionaggio (è l’accusa più in voga in Iran), tra questi due professori universitari, un macellaio kosher, un rabbino, tre insegnanti. Nessuna prova, una decina d’anni di prigione con torture e violenze. Nel 2006 un quotidiano iraniano ha sponsorizzato, per la prima volta, l’International Holocaust Cartoon Contest. La manifestazione ha avuto successo, tanto da venire riproposta anche in ulteriori edizioni: denigrare le vittime della Shoah è forse antisionismo?


La diversità come minaccia. Il problema non è una Palestina libera dal fiume al mare. Purtroppo i palestinesi sono da sempre vittime – prima che d’Israele – degli appetiti di potere di leader arabi che hanno scelto di sacrificare la corretta aspirazione di autodeterminazione di un popolo sull’altare dell’ingordigia politica, mascherandola da lotta per la rivendicazione della terra palestinese. Se così non fosse, lo Stato di Palestina sarebbe nato il 14 maggio 1948, al fianco dello Stato d’Israele. O, per lo meno, avrebbe visto la luce tra il 1949 e il 1967, quando i territori palestinesi erano in mani arabe: la Striscia di Gaza era infatti occupata dall’Egitto e la Cisgiordania era occupata dalla Giordania. Tuttavia, anche secondo questa logica, i conti non tornano: cosa c’entra l’Iran? Per quale motivo, da sempre, minaccia Israele? Probabilmente è per lo stesso motivo per cui, Khomeini prima e Khamanei dopo, disprezzano le donne. Non appaia strano. Bene aveva detto la professoressa Sedigheh Vasmaghi quando ha ricordato a Khamanei che, ai tempi di Maometto, la situazione femminile era differente. Di fatto le donne della nascente comunità islamica frequentavano la moschea, prendevano parte alle funzioni religiose, ascoltavano i discorsi di Maometto e interagivano come interlocutrici attive. Subito dopo la morte di Maometto, le parole delle donne avevano un certo qual peso per quanto riguardava le questioni di natura spirituale e sociale. Tuttavia nei decenni successivi, soprattutto a partire dalla società abbaside, le donne cominciano a scomparire sia dalla scena politica che da quella spirituale, venendo confinate tra le mura di casa, nel ruolo di mogli o concubine. La questione della donna, ci ricorda l’intellettuale tunisina Raja Benslama, “è inscindibile da quella dell’islam. La donna è l’altro primigenio, è il primo altro su cui si aprono gli occhi e quindi determina il rapporto di ogni comunità rispetto all’alterità di ogni essere. E’ la donna il metro su cui si può misurare il grado di tolleranza della società e la sua capacità di non trasformare la differenza in inferiorità”. In altre parole le società che non accettano – come l’Iran – l’alterità della donna come essere libero, non accettano nessun altro. La discriminazione si costruisce sull’odio e di questo odio l’Iran ci fornisce quotidianamente esempi terribili perseguitando non soltanto le donne, ma anche i bambini, gli omosessuali, gli intellettuali e, ovviamente, odiando Israele che incarna tutto ciò che gli ayatollah vorrebbero sopprimere: la differenza. Israele, unico stato ebraico circondato da stati islamici, è il luogo dove le donne – pur se arabe come la professoressa Mona Maroun, appena nominata rettrice dell’Università di Haifa – vengono elette ai massimi vertici accademici; dove l’omosessualità non è reato nonostante il governo più di destra e più religioso di sempre; dove negli ospedali vengono curati anche i nemici, basti pensare che – all’indomani della strage più cruenta di sempre – una delle figlie di Ismail Haniyeh, leader di Hamas, è stata trasferita da Gaza in ospedale a Tel Aviv, dopo che già in passato in Israele era stata curata sua moglie. Tutto questo, in un mondo retto dall’odio, non può esistere: non viene accettato. Eppure sono convinta che l’islam (nella sua corretta interpretazione), come le donne e persino Israele abbiano un nemico comune: il totalitarismo religioso in tutte le sue forme. Su questo le università internazionali potrebbero lavorare, in un clima di collaborazione piuttosto che di scontro.

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