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La bella grana di Tajani, diviso fra Pechino e Capri

Giulia Pompili

Il ministro degli Esteri accoglie il commercio cinese ma lancia anche due frecciatine alla Cina. Il problema è il G7 Esteri della prossima settimana: nessuno è contento di andare a Capri

Per capire la situazione difficile del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ieri a Venezia seduto accanto a Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, basterebbe soffermarsi sullo scandire delle sue parole. Lento. Preciso. Senza nemmeno leggere: un discorso a braccio e da equilibrista, durante il quale il vicepremier forzista ha fatto quello che non si vedeva da un po’, in Italia. Al di là della retorica sulla diplomazia culturale, sul “viaggiare e leggere” che servono “a conoscere”, su Marco Polo e Matteo Ricci, Tajani ha infilato due o tre messaggi piuttosto chiari a Wang: è ora di riequilibrare la bilancia commerciale, abbiamo visioni diverse su molteplici questioni, se siete davvero una potenza responsabile allora garantite il commercio navale internazionale.

 

Ed è stato forse all’apertura della due giorni con la delegazione di Pechino che Tajani ha realizzato il pessimo tempismo delle richieste cinesi, che volevano un grande evento commerciale in Italia a pochi mesi dall’uscita di Roma dal progetto strategico della Via della seta. Oltre alla visita di stato in Cina della premier Giorgia Meloni che, secondo quanto risulta al Foglio, dovrebbe svolgersi prima di quella del capo dello stato Mattarella, prevista in autunno, avevano richiesto un evento con cui riazzerare tutto, e ripartire con il “partenariato strategico” di berlusconiana memoria che rendesse al mondo l’immagine di una Cina che nonostante la sua alleanza con la Russia dialoga con tutti. Solo che organizzare le prime celebrazioni sui settecento anni dalla morte di Marco Polo, la riunione della Commissione economica mista e poi il Forum di dialogo imprenditoriale proprio ieri e oggi deve essere sembrato eccessivo pure a Tajani. Perché tra meno di una settimana, mentre la premier Giorgia Meloni sarà impegnata a Bruxelles al Consiglio europeo, sarà lui il gran cerimoniere della prima ministeriale Esteri del G7, che si apre mercoledì prossimo nella location più chiacchierata degli ultimi giorni: Capri. 
Da qualche tempo infatti il Foglio sta raccogliendo alcuni commenti sulla scelta della location per la riunione considerata la più importante del G7 dopo quella tra capi di stato e di governo, quella che quest’anno si terrà a giugno a Borgo Egnazia, in Puglia. Un diplomatico di un paese del G7 ha spiegato al Foglio che la scelta di invitare il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, quello indiano S. Jaishankar, il segretario di stato americano Antony Blinken, e poi gli omologhi David Cameron (Regno Unito), Stéphane Séjourné (Francia), Annalena Baerbock (Germania), Mélanie Joly (Canada) e Yoko Kamikawa (Giappone) su un’isola a circa trenta chilometri dalla costa di Napoli è una semplificazione delle misure di sicurezza. “La premessa probabilmente è stata che un’isola da dieci chilometri quadrati sia considerata più gestibile dal punto di vista della sicurezza nello svolgimento delle riunioni”, dice la fonte. Perché è difficile pensare a dei black bloc che arrivano in massa sull’isola per contestare i ministri. Eppure, come per i media, l’organizzazione è stata complicatissima per le delegazioni: “Il ministero degli Esteri ha messo a disposizione un sistema di navette via mare della Guardia di Finanza che possono però ospitare soltanto una decina di persone”, dice un’altra fonte al Foglio, spiegando che così facendo le delegazioni dei paesi ospitati verranno divise, e non solo nel trasporto dal porto di Napoli a Capri, anche sull’isola, non adatta a ospitare gruppi numerosi che hanno bisogno di sale operative e di sicurezza: “Al Grand Hotel Quisisana non c’erano abbastanza stanze, le delegazioni sono tutte sparpagliate”. Qualcuno poi solleva una questione di sicurezza. Molto più spesso di quanto si possa pensare, a causa del maltempo, i collegamenti marittimi fra la terraferma e l’isola azzurra vengono interrotti: che succede se si alza il vento la prossima settimana? Esiste un piano B, fanno sapere dai corridoi della Farnesina. Eppure nessuno sa cosa potrebbe succedere al contrario, e cioè se uno dei ministri dovesse lasciare la riunione improvvisamente, per esempio per un’emergenza nel suo paese: chi garantisce che il tempo sia clemente? 

 


Tajani poi dovrà pensare ai temi di discussione: oggi a Verona, con il ministro cinese Wang, presiede il Forum di dialogo imprenditoriale Italia-Cina il cui scopo è “rafforzare il dialogo commerciale” in diversi settori, in particolare, ha detto Tajani, “agroindustria, farmaceutico  e biomedicale”. Eppure proprio in questi giorni non solo la Commissione europea ha aperto una terza indagine sulla concorrenza sleale cinese in vari settori, tra cui pannelli solari ed eolico, ma l’America sta accelerando l’introduzione di una legge che vieterà alle aziende americane che ricevono sovvenzioni federali di lavorare con quattro società di biotech cinesi, tra cui la WuXi AppTec e WuXi Biologics, che producono ingredienti farmaceutici attivi per moltissime case farmaceutiche anche in Europa. Tajani oggi dovrà parlare di come intensificare il commercio con la Cina, e tra una settimana, a Capri, di come fare de-risking. Meglio di dottor Jekyll e Mr. Hyde.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.