Gli aiuti militari

Le lettere di Jamie Dimon e Mike Pompeo: l'America è più forte e sicura se sostiene Kyiv

Paola Peduzzi

Lo speaker del Congresso, Mike Johnson, deve fissare la data per il voto. Il ceo di JPMorgan Chase scrive agli azionisti un manifesto della forza americana come strumento di pace. L'ex segretario di stato di Trump scrive direttamente allo speaker del Congresso: muovetevi

“La lotta dell’Ucraina è la nostra lotta, garantire la sua vittoria significa garantire America first”, ha scritto Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase, nella tradizionale lettera annuale agli azionisti: “America first” è scritto in corsivo e in grassetto, un messaggio chiaro ai repubblicani, che probabilmente faranno finta di non accorgersi che questo supermanager ha scritto un’inusuale missiva – “un piano globale che potremmo definire Neoliberalismo Egemone e Pugnace”, scrive Axios – che risulterà più palatabile per il Partito democratico che per quello repubblicano.

“La leadership globale dell’America – scrive Dimon – è minacciata all’esterno da altre nazioni e all’interno da un elettorato polarizzato. Dobbiamo trovare il modo di mettere da parte le differenze e lavorare in partnership con le altre nazioni occidentali, in nome della democrazia”: il ceo definisce “imperativo” il fatto che i leader politici americani spieghino ai cittadini che cosa c’è in gioco in Ucraina – un paese che è “la linea del fronte della democrazia” – perché se si sfascia la Pax americana, e perdere la guerra contro Vladimir Putin vuol dire proprio questo sfascio, per il mondo libero sarebbe “un disastro”. Dimon dice che il mondo ha bisogno dell’America, che vuole la sua leadership e che questo ruolo di guida si svolge con la forza – forza politica, militare, economica, valoriale: cita Ronald Reagan (“sappiamo molto bene che la guerra arriva non quando le forze della libertà sono solide, ma quando sono fragili”) e ripete il concetto di “pace attraverso la forza”.

E’ l’esatto contrario di quel che i deputati repubblicani a trazione trumpiana – una trazione che diventa sempre più totalizzante – stanno discutendo, mentre devono fissare la data del voto al Congresso per un pacchetto militare all’Ucraina che non sarà probabilmente grande come quello proposto dalla Casa Bianca di Joe Biden (60 miliardi di dollari) e  approvato al Senato, ma che è comunque corposo – soprattutto è urgente e necessario. Nel fine settimana il Washington Post ha pubblicato un lungo resoconto di quello che ha definito “il piano di Donald Trump” per fermare la guerra in Ucraina, che si sostanzia nelle pressioni su Kyiv perché conceda alla Russia i territori occupati. L’articolo riporta da un lato le perplessità di alcuni deputati e senatori che pure sostengono l’ex presidente, e dall’altro i centri studi che  gli hanno fornito argomentazioni per sostenere questa pace-resa. C’è la citazione di una frase attribuita a Trump: l’Ucraina e la Russia “vogliono salvare la faccia, vogliono una via d’uscita” e  gli ucraini che vivono nelle zone occupate sono d’accordo a restare sotto la Russia. La campagna elettorale di Trump non ha voluto commentare le dichiarazioni di quelle che considera “fonti anonime e non informate”, ma dichiara: “Trump è l’unico che parla di fermare le uccisioni”.

Non c’è nulla di nuovo in quel che dice l’ex presidente, che da tempo sostiene di poter risolvere la guerra in Ucraina in ventiquattro ore – anche se non ha dato seguito all’invito che gli ha fatto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: vieni a Kyiv a parlarne, magari ti porto anche a fare un giro sulla linea del fronte così ti rendi conto meglio di che cosa significa perdere tempo e immaginare una pace che Putin non vuole. Però questo nulla fintamente pacifista che Trump si è intestato ha avuto e avrà un impatto sul voto al Congresso e sul campo di battaglia, che è l’unico che importa e che è strettamente collegato con la perseveranza americana nel sostegno a Kyiv. Lo speaker del Congresso, Mike Johnson, ha annunciato che questa settimana, forse già oggi, sarà fissato il voto, ma la sua leadership si è fatta fragile perché, proprio come il suo predecessore, ha osato fare un compromesso con i democratici sul budget: il trumpismo prevede intransigenza, che è l’esatto contrario del compromesso necessario a governare e anche a gestire la politica internazionale.

Sulla capacità di Johnson di riuscire a convincere i deputati repubblicani a sostenere l’Ucraina c’è molto scetticismo. Ma se Jamie Dimon ha scritto agli azionisti della sua azienda le parole chiave in grassetto per i repubblicani, Mike Pompeo,  anche lui imprenditore ma soprattutto ex segretario di stato di Trump, ha scritto direttamente a Johnson: “Senza nemmeno un soldato americano o della Nato che abbia sparato un colpo, l’Ucraina ha inflitto perdite alla Russia in termini di uomini e di mezzi, che non si vedevano dalla Seconda guerra mondiale”. L’America è più forte e più sicura se sostiene Kyiv: muovetevi con gli aiuti.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi