gli aiuti nella striscia

Cosa succede se le organizzazioni umanitarie lasciano Gaza

Micol Flammini

Sullivan avverte gli israeliani che potrebbe essere dichiarata la carestia nella Striscia, il problema è la distribuzioni degli aiuti e dopo la morte dei sette volontari della World Central Kitchen, anche altri operatori umanitari minacciano di andare via

Ieri i giornali israeliani erano pieni di virgolettati di funzionari dell’esercito che lamentavano la diffusione di due culture molto diverse all’interno di Tsahal e il sovvertimento della catena di comando. L’uccisione dei sette operatori umanitari che stavano portando i rifornimenti nella Striscia di Gaza, conducendo un’operazione di cui l’esercito era stato informato in ogni dettaglio, ha fatto emergere un dibattito intenso in Israele.  Una fonte ha raccontato a Haaretz che i soldati coinvolti nell’uccisione dei sette volontari dell’organizzazione World Central Kitchen hanno violato i regolamenti e gli ordini dell’esercito.  La fonte che ha parlato con Haaretz è stata molto dura e ha accusato il comando di sapere “esattamente quale è stata la causa dell’attacco: a Gaza ognuno fa quello che vuole”.  Il giornalista di Axios, Barak Ravid, è intervenuto alla Cnn dicendo che quello che è accaduto “è stata una seria violazione del protocollo dell’esercito israeliano e delle sue regole di ingaggio”. Quando il generale Herzi Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito, parla, sembra un marziano ai soldati che sono nella Striscia e, racconta Ravid, la preoccupazione è che l’immagine di grande professionalità che Tsahal ha sempre avuto in giro per il mondo venga compromessa dagli intoppi nella catena di comando e dalle regole estemporanee che portano a incidenti gravi. Secondo i regolamenti dell’esercito, l’approvazione finale per qualsiasi operazione contro obiettivi sensibili – le organizzazioni umanitarie sono obiettivi sensibili – deve arrivare dal capo di divisione o anche dal capo di stato maggiore. A Gaza “ogni comandante stabilisce le regole per se stesso”, racconta la fonte a Haaretz e non si sa se sia mai arrivata ai vertici la decisione di aprire il fuoco sulle tre macchine su cui viaggiavano i volontari.
 
Da quando è iniziata la guerra a Gaza, uno dei punti fondamentali riguarda l’ingresso e la distribuzione del cibo. Nei piani di guerra elaborati dopo il 7 ottobre da Israele, è stato tenuto conto di come assicurare il flusso degli aiuti. Nella Striscia ci sono degli ufficiali che si occupano del coordinamento tra i soldati e le organizzazioni umanitarie, questi ufficiali gestiscono anche l’evacuazione dei civili. Finora Israele ha affidato la distribuzione degli aiuti soprattutto alle organizzazioni come World Central Kitchen e la morte dei volontari mette a repentaglio questa collaborazione: è un lavoro rischioso, non soltanto non è facile trovare volontari, ma anche organizzazioni che accettino di farlo. Se Israele dovesse rimanere senza partner sul campo, dovrà pensare da solo alla distribuzione, che è il principale problema nella Striscia, dove gli aiuti arrivano, ma faticano a raggiungere i civili. Il consigliere per la Sicurezza nazionale americana, Jake Sullivan, in un incontro virtuale avrebbe avvertito alcuni funzionari israeliani che nelle prossime settimane la Integrated Food Security Phase Classification potrebbe emettere una dichiarazione di carestia per Gaza. Se le organizzazioni umanitarie si sfilassero tutte, per Israele sarebbe un grande problema. Finora lo stato ebraico ha assicurato l’ingresso di cibo e acqua, è quello che accade dentro alla Striscia il problema e anche la gestione del caos che i soldati non riescono a tenere a bada.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.