Il presidente russo Vladimir Putin nella cabina di un simulatore di volo (Mikhail Metzel, Sputnik, foto del Cremlino via AP) 

L'analisi

Le basi degli F-16. Putin è forte solo se smettiamo di sostenere l'Ucraina

Vittorio Emanuele Parsi

Il Cremlino non si può permettere un conflitto allargato. Le sue minacce servono a dividere e seminare discordia tra le leadership occidentali 

Dopo l’attentato jihadista di Mosca, Vladimir Putin non ha fatto altro che alzare i toni delle sue minacce verso l’occidente, accusandolo di essere il mandante e l’organizzatore della strage rivendicata da Isis-K. Si è trattato di un cinico tentativo di nascondere il clamoroso fallimento dell’intelligence russa (sempre che non ci sia la regia di Mosca a monte dell’intera operazione) e di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica interna per canalizzarla verso un odio sempre più radicale nei confronti dell’Ucraina e delle potenze occidentali. 

 
Nelle ultime ore, in particolare, Vladimir Putin ha rivendicato il diritto di considerare un legittimo bersaglio gli aeroporti dai quali dovessero decollare gli F-16 destinati all’Ucraina per difenderne lo spazio aereo. Una minaccia di allargamento del conflitto, esplicitata in maniera volutamente ambigua, che ha uno scopo principale: quello di far crescere la paura della Terza guerra mondiale in ampie fasce della popolazione europea e di provare a seminare discordia tra le leadership occidentali. Nella stessa occasione in cui magnificava la potenza militare russa e minacciava la Nato, Putin però asseriva di non aver alcuna intenzione di invadere altri paesi oltre l’Ucraina, affermando che negli ultimi anni la Federazione russa ha speso in armamenti molto meno di Stati Uniti e Unione europea, così fornendo argomenti a chi ritiene che la Russia non sia in grado di rappresentare una minaccia per la Nato, tanto più se si considera che da oltre due anni è impegnata in una guerra in Ucraina che non riesce ancora a vincere. Le parole dell’autocrate di Mosca sono come sempre rivelatrici della sua strategia e, in questo caso, contengono la constatazione di un dato di realtà: la “forza” della Russia è tale solo in conseguenza della debolezza europea e occidentale e delle divisioni, renitenze e incoerenze tra le capitali delle democrazie. Che la Russia a oltre due anni dall’inizio di una guerra condotta con la massima brutalità e con un profluvio di mezzi e uomini si ritrovi ancora a combattere per la riconquista di Kherson attesta dello stato delle sue Forze armate.

 

Nonostante un livello di perdite, tra morti e feriti, che avrebbe superato le trecentomila unità, l’esercito di Putin si ritrova a combattere per il controllo di qualche villaggio disabitato. Le sue forze navali hanno subìto danni inimmaginabili nello scontro con l’Ucraina (un paese che non ha più una flotta) e il Mar Nero, compresa la base di Sebastopoli in Crimea, costituisce oggi un’area insicura per qualunque unità russa. L’enorme superiorità russa sull’Ucraina in termini di potenziale umano non sembra d’altronde così facilmente mobilitabile, se Putin sta facendo ricorso in maniera crescente a criminali, mercenari vari e poveri disgraziati reclutati spesso con l’inganno nel subcontinente indiano e in Africa. La cinica distorsione dell’attentato moscovita attesta che, senza un rinforzo di indignazione antiucraina creato ad arte, non sarebbe così facile incrementare gli effettivi a disposizione attraverso la coscrizione. D’altro canto, al costo di destinare oltre il 30 per cento del budget federale alle spese militari e alla trasformazione dell’economia russa in una vera e propria economia di guerra, Mosca è in grado di ripianare le spaventose perdite subite in termini di equipaggiamento e di produrre i quantitativi di munizioni che non riesce a ottenere attraverso le importazioni da Corea del nord e Iran.


Questo gigantesco sforzo umano, produttivo e finanziario non è però riuscito finora a piegare l’indomito spirito di resistenza ucraino, anche in virtù dell’assistenza militare occidentale, oltre che del coraggio e dell’organizzazione delle Forze armate di Kyiv. E, in queste condizioni, avventurarsi in una guerra contro la Nato, rappresenterebbe una scelta suicida per Mosca. Il Cremlino non sarebbe, in questo momento, in condizione di affrontare un allargamento del conflitto. Almeno fintanto che resterà impelagato nella guerra in Ucraina. Ma se il paese aggredito non dovesse più essere nelle condizioni di battersi, o fosse sospinto a sottoscrivere una pace ingiusta, le cose diventerebbero molto diverse. Non solo. Nell’arco di dodici mesi, la macchina produttiva russa potrebbe aver ricostituito stock molto consistenti di munizioni, armamenti ed equipaggiamento, proprio sfruttando la sua conversione in un sistema economico di guerra.


A queste condizioni, Putin potrebbe esercitare la sua minaccia verso la Nato, con una strategia incrementale, orientata a costituire il fatto compiuto in alcune limitate porzioni del territorio dell’Estonia o della Romania per vedere se poi davvero la Nato reagirebbe in maniera solidale (ex articolo 5), oppure se alcuni paesi tituberebbero di fronte alla prospettiva di reagire alla provocazione russa. Ecco perché è così importante costituire una forza multinazionale permanente e consistente da stanziare sul fianco est dell’Alleanza, così da rendere irrealizzabili le ambizioni russe. Se ci mostriamo determinati e agiamo con fermezza, non abbiamo nulla da temere e la “forza” della Russia si riduce di conseguenza. Se, viceversa, ci facciamo avviluppare dalla retorica della Terza guerra mondiale e dalla paura che induce, allora facciamo della Russia una potenza incontrastabile. Soddisfare la fame della belva con qualche boccone di Ucraina non farà altro che alimentarne l’aggressività e rinforzarne la convinzione che possa ottenere molto altro con la reiterazione della minaccia. Successe così nel 1938 (prima i Sudeti, poi l’intera Cecoslovacchia, quindi la Polonia…), succederebbe così anche oggi. 

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