Vo Van Thuong e Papa Francesco (gettyimages)

Il racconto

I guai politici del Vietnam, che poteva essere una Cina migliore 

Massimo Morello

L'arrivo di Papa Francesco potrebbe segnare una svolta nei rapporti tra la Santa Sede e Hanoi. Ma a rendere incerta la visita di Bergoglio ci sono gli scandali politici e finanziari, oltre alle dimissioni del presidente vietnamita 

Bangkok. Un “papal tour” è previsto in Vietnam nella seconda metà di quest’anno. Un evento storico: segnerebbe la ripresa dei rapporti tra la Santa Sede e Hanoi interrotti nel 1975, alla fine della Seconda guerra d’Indocina (quella che in occidente è chiamata la guerra del Vietnam e in Vietnam la guerra americana). La visita avrebbe i maggiori riflessi politici proprio in America, dove vive una comunità di circa settecentomila cattolici vietnamiti. Sarebbe il culmine di una paziente operazione diplomatica suggellata da una lettera del presidente vietnamita Vo Van Thuong a Papa Francesco.


L’invito, però, dovrà essere rinnovato dal successore di Thuong perché il 21 marzo scorso il Comitato centrale del Partito comunista vietnamita ha annunciato di aver accettato le sue dimissioni (ora ne fa le veci la vicepresidente Vo Thi Anh Xuan). Secondo fonti “non ufficiali ma attendibili”, come definite dall’Iseas-Yusof Ishak Institute di Singapore, sarebbe stato coinvolto in un’indagine sul gruppo immobiliare Phuc Son, accusato di aver corrotto numerosi funzionari nonché alcuni parenti dello stesso Thuong. Tuttavia, per non minare la propria immagine, il Partito invita coloro che sono sospettati di scandali o errori a rassegnare le proprie dimissioni. È la “cultura delle dimissioni”, codificata dopo il tredicesimo congresso del Partito, nel 2021, in seguito al quale si verificò una serie di dimissioni a catena. Il 17 gennaio 2023, a dare le dimissioni è stato l’allora presidente Nguyen Xuan Phuc, nominato presidente nel 2021. Thuong, il suo successore, è rimasto in carica un anno solo. 


Almeno per il momento le dimissioni di Thuong hanno fatto passare in secondo piano lo scandalo che coinvolge Truong My Lan, presidentessa del Van Thinh Phat, altro colosso immobiliare, accusata di una frode da 12,5 miliardi di dollari. In questo caso le accuse coinvolgono Le Thanh Hai, personaggio che sembra uscito dalle pagine del romanzo “Il Simpatizzante” di Viet Thanh Nguyen, “un uomo con due facce”. Conosciuto come “Boss Hai”, quale segretario della sezione di Ho Chi Minh City del Partito comunista, durante la guerra aveva operato come sicario dei Viet Cong.  A procedere nella decimazione in forma di dimissioni dei nuovi nemici del popolo è Nguyen Phu Trọng, 79 anni, membro del Comitato centrale dal 1994, segretario generale del Partito dal 2011, cultore della “virtù marxista leninista”. Per Trong non si tratta di rinnegare il Doi Moi, il rinnovamento, la riforma economica lanciata nel 1986 per creare una “economia di mercato dalle caratteristiche socialiste”. Quello che è in gioco, secondo lui, è la sopravvivenza del Partito, minato da “cattive radici”, e per eliminarle ha lanciato una campagna inequivocabile: “La fornace ardente”. Il nome stesso, tuttavia, come sospetta Nguyen Khac Giang dell’Iseas-Yusof Ishak Institute, fa supporre che ci sia una lotta di potere all’interno del Comitato centrale soprattutto in vista del prossimo congresso nazionale del Partito comunista, che si svolgerà nel 2026.


Peccato che questa politica di purificazione rivoluzionaria rischia di minare le fondamenta del Doi Moi, quel capitalismo di stato compatibile con un’economia di mercato che ha fatto la fortuna del Vietnam. “Vietnam: Asia’s Rising Star”: così è definito il paese in un recente saggio secondo cui potrebbe diventare una nazione ad alto reddito come la Corea del sud e Taiwan: nel 2022 ha superato proprio la Corea al sesto posto tra i maggiori partner degli Stati Uniti e sembra destinato a diventare il quarto esportatore di prodotti ad alta tecnologia dopo Cina, Taiwan e Germania. Il Vietnam inoltre era il maggior beneficiario del decoupling americano, sede ideale per rilocalizzare le loro imprese e le catene di approvvigionamento fuori della Cina. L’ascesa della stella vietnamita, tuttavia potrebbe interrompersi proprio per una lotta di potere, scoraggiando gli investimenti delle compagnie estere che erano attratte in Vietnam dalla stabilità politica. Se n’è avuta prova con la cancellazione della visita in Vietnam della famiglia reale olandese, alla guida di una delegazione commerciale, in conseguenza delle dimissioni di Thuong.


In realtà quella che il segretario del Partito Trong ha definito come “l’eliminazione della cattive radici” potrebbe servire a rafforzare le “forti radici” della sua “Diplomazia di Bambù”. È una diplomazia, codificata da Trong nel 2021, di “multi-allineamento” (in opposizione alla storica politica di “non allineamento”) che ha permesso al governo di Hanoi di mantenere forti relazioni con tutti i protagonisti di un mondo che sta diventando sempre più multipolare. Nel 2023 il Vietnam è stata la sola nazione a ospitare i leader delle due maggiori potenze mondiali riuscendo a stabilire con entrambi accordi non solo di cooperazione economica ma addirittura strategica. Aspettando Francesco.

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