Il regista Laszlo Nemes nel 2018 (Foto Ansa) 

“Psicosi collettiva”

J'accuse del “Figlio di Saul” contro Jonathan Glazer

Giulio Meotti

“Vogliono finire il lavoro di Hitler in nome del progresso”, dice l'ungherese László Nemes commentando le parole del regista della "Zona d'interesse". Contro gli ebrei "una psicosi collettiva"

Lo stato ebraico nazificato dall’intellighenzia (come “Shoah after Gaza” di Pankaj Mishra sulla London Review of Books, ottomila parole di cui cinque su Hamas), gli ebrei europei che fanno le valigie o si nascondono per non essere aggrediti. Un clima velenoso, secondo molti alimentato anche dal regista della “Zona d’interesse” Jonathan Glazer, che la notte degli Oscar ha detto di non volere che la propria ebraicità e  l’Olocausto siano usati per giustificare la guerra di Israele. E contro Glazer è intervenuto il regista che ha vinto l’Oscar nella stessa categoria con lo sconvolgente “Il figlio di Saul”, l’ungherese László Nemes. La storia di un padre che vuole seppellire il figlio ucciso nella camera a gas. 
“Mi piace moltissimo la ‘Zona d’interesse’ e lo ritengo un film importante” ha scritto Nemes in una lettera sul Guardian. “Ma quando si fa un film del genere, c’è una responsabilità. Glazer ha chiaramente fallito, anche nei confronti dello sterminio degli ebrei europei. Ed è stato scioccante che l’élite lo abbia applaudito per questo”. 

Nemes lo accusa “di non comprendere la storia e le forze che distruggono la civiltà, prima o dopo l’Olocausto” e una “propaganda intesa a sradicare tutta la presenza ebraica dalla terra”. Nemes continua dicendo che “oggi l’unica forma di discriminazione non solo tollerata ma incoraggiata è l’antisemitismo. Rimaniamo tutti scioccati dall’Olocausto, al sicuro nel passato, e non vediamo come il mondo potrebbe alla fine, un giorno, finire il lavoro di Hitler in nome del progresso e del bene infinito”. Nemes, che vive fra Parigi, Londra e New York, parla di “una psicosi collettiva”. 

E contro Glazer è intervenuto anche David Schaechter, leggendario presidente della Fondazione dei sopravvissuti. “Ho 94 anni e sono l’unico di 105 anime della mia famiglia a sopravvivere all’Olocausto e  all’inferno di Auschwitz”, scrive Schaechter al regista inglese Glazer. “L’‘occupazione’ di cui parli non ha nulla a che fare con l’Olocausto. Il panorama politico e geografico odierno è il risultato  delle guerre iniziate dai leader arabi del passato che rifiutarono di accettare il popolo ebraico come loro vicino nella nostra patria storica”. E ancora: “Ora l’Iran e i suoi terroristi per procura hanno iniziato un’altra guerra, incoraggiati da troppi che, per ingenuità o malizia, incolpano ‘l’occupazione’. Si vergogni chi usa Auschwitz contro Israele”. 

Intanto Londra ha ospitato la prima fiera dell’aliyah, l’immigrazione in Israele. Dopo gli attacchi del 7 ottobre si è registrato un aumento del 40 per cento di partenze dalla Gran Bretagna. E una sopravvissuta all’Olocausto di Anversa, Regina Sluszny, parla di tanti ebrei belgi che hanno fatto le valigie. “Le persone che hanno famigliari che non sono tornati da Auschwitz sono molto spaventati. Pensano che tutto ricomincerà”. Da “ebrei andate in Palestina” a “ebrei fuori dalla Palestina”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.