Nazionalisti antiucraini

La resa di Orbán e Trump

Paola Peduzzi

Il premier ungherese torna dalla visita all'ex presidente in Florida dicendo che c'è "un piano" per riportare la pace: non dare più soldi all'Ucraina, non darli nemmeno agli europei, così "la guerra finisce". La retorica trumpiana fa un ennesimo balzo verso Putin, e l'Ungheria dà in cambio istruzioni sull'esportazione dei suoi metodi illiberali

“Questo è il primo Oscar nella storia ucraina”, ha detto Mstyslav Chernov, regista di “20 Days in Mariupol”, che ha vinto il premio come migliore documentario, “e forse sarò il primo regista che su questo palco dice: vorrei non aver mai fatto questo film”, vorrei che la Russia non avesse mai attaccato l’Ucraina, che non avesse mai occupato le nostre città, che non avesse mai ucciso migliaia di ucraini. Chernov farebbe subito a cambio con un’Ucraina non invasa da Vladimir Putin, ma dice di non poter modificare la storia e che questo documentario, almeno, può far sì che “la verità abbia la meglio”. “20 Days in Mariupol” e le parole del suo regista andrebbero proiettati in loop nelle cancellerie occidentali, nei consessi in cui la storia dell’aggressione russa all’Ucraina e all’occidente viene deformata a tal punto che per porvi fine si chiede all’Ucraina di alzare bandiera bianca, di negoziare, di arrendersi. La richiesta non è mai rivolta alla Russia, a Putin, a chi ha voluto questa guerra e può smettere di farla, ma a chi la guerra non la voleva e non può smettere di difendersi. Non solo, c’è chi non si accontenta delle “pressioni” e lavora a un piano per ottenere la resa dell’Ucraina, come ha spiegato il premier ungherese, Viktor Orbán, di ritorno dalla sua visita a Donald Trump: non diamo più soldi a Kyiv, da sola non può vincere, si arrenderà.

 

Trump “non metterà un penny nella guerra ucraino-russa, e così la guerra finirà”, ha detto Orbán alla tv ungherese domenica sera, dopo l’incontro con l’ex presidente americano e candidato per il 2024. “E’ ovvio che l’Ucraina non può resistere da sola”, ha proseguito il premier ungherese, “se gli americani non danno soldi e armi, assieme agli europei, allora la guerra finisce. E se gli americani non danno soldi, gli europei da soli non sono in grado di finanziare questa guerra. E allora la guerra finisce”. Orbán ha detto che Trump ha “un piano ben dettagliato” per porre fine alla guerra, non è andato oltre perché lui non ha bisogno di altro: l’ex presidente è “un uomo di pace”, in fondo lo ripete sempre che, se fosse lui al potere, farebbe finire la guerra in ventiquattro ore.

 

Intanto un assaggio di questo piano lo abbiamo già visto: i repubblicani al servizio di Trump bloccano 60 miliardi di dollari di investimenti in armi per l’Ucraina, accampando finora scuse che riguardano la politica interna americana (la riforma dell’immigrazione). Il ritardo si è già visto sul campo di battaglia e si misura in vite ucraine perdute perché mancano le armi per respingere i soldati russi. Gli ucraini stanno modificando la loro strategia di guerra – i risultati si vedono con l’affondamento delle navi russe nel Mar Nero e con l’abbattimento di aerei russi nel cielo ucraino – ma la straordinaria e vitale flessibilità ucraina non può compensare il rallentamento delle forniture di munizioni e armi.

 

Il resoconto di Orbán mostra che la posizione dei trumpiani – dentro e fuori l’America – è cambiata: finora i sostenitori dell’ex presidente hanno fatto ostruzionismo in Parlamento all’Amministrazione Biden seguendo il diktat del capo: non si fa nessun favore al presidente rivale, anche se di mezzo c’è la sicurezza nazionale e internazionale. Ora vogliono, sempre su impulso di Trump, posizionarsi come portatori di pace, allineandosi con i cosiddetti pacifisti che dall’inizio dell’aggressione russa parlano di condizioni da imporre all’Ucraina, di armi da non dare all’Ucraina, di pezzi di terra ucraina da concedere alla Russia, insomma  di una resa del paese invaso e non di un piano per far passare la voglia all’invasore di continuare questa guerra e di aprirne altre. Poiché c’è di mezzo Trump, esiste anche l’elemento ricattatorio: senza l’America nessuno sta in piedi, né l’Ucraina né l’Europa, quindi saremo noi a decidere cosa si  fa e voi non avrete alternativa se non assecondarci.

 

Orbán, che è europeo, si è fatto portavoce di questo tradimento, che condivide senza aver bisogno di porre domande ulteriori. Il suo obiettivo è federare il conservatorismo nazionalista in giro per il mondo, contribuendo a costruire “un nuovo ordine globale”, come ha detto in un’intervista al sito trumpiano Breitbart il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó: in cambio, l’Ungheria istruisce i trumpiani sui propri metodi illiberali, sgretola come può l’unità europea (pur facendosi ampiamente finanziare dall’Unione europea), fa affari con Putin e aiuta a tenere in circolo la bugia della pace, della bandiera bianca, del negoziato negando all’Ucraina e all’occidente non soltanto la verità di quel che sta accadendo ma anche la possibilità di difendersi. Un tradimento completo.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi