Davanti al Congresso

Un libro con cui Biden si è preparato al discorso sullo Stato dell'Unione e il video con i "presidenti"

Paola Peduzzi

A Camp David, il presidente americano aveva un manuale sui negoziati e su come si supera una "stagione di conflitti". L'elenco dei suoi successi, lo spigolo meno arrotondabile (il trumpismo) e i consigli di chi ha interpretato il presidente degli Stati Uniti al cinema e in tv

“Come ho osservato in innumerevoli conflitti nel corso degli anni, i costi del blame game”, del dare la colpa all’altro, “sono enormi”, scrive William Ury, il fondatore del programma Negotiation all’Università di Harvard: “Intensifica inutilmente le dispute e ci impedisce di risolverle. Avvelena le relazioni e spreca tempo ed energia preziosi. E, cosa più insidiosa, mina il nostro potere”. E’ l’ultimo libro di Ury, “Possibile: How We Survive (and Thrive) in an Age of Conflict”, che Joe Biden aveva con sé a Camp David nel fine settimana scorso, durante il suo ritiro di preparazione al discorso sullo Stato dell’Unione di giovedì sera (notte italiana). Smussare gli spigoli del mondo in guerra e dell’America  sfilacciata dall’ostilità tra democratici e repubblicani: questa è la missione di Biden sin dalla sua elezione nel 2020, e questo il metodo con cui ha preparato l’ultimo suo discorso al Congresso, prima delle elezioni di novembre. Che questo sia “Possible” è la convinzione, o forse la speranza, del presidente.

 

La leadership di Biden è stata caratterizzata dalla volontà di ricucire le spaccature, di trovare compromessi, ed è piuttosto naturale che si ispiri a un guru della negoziazione come Ury, ma poi c’è la campagna elettorale contro Donald Trump, il re del blame game, al punto da voler far credere agli americani che si candida per vendicarli tutti della grande colpa di Biden e dei democratici: aver imbrogliato alle elezioni del 2020, levando a Trump il suo secondo mandato. Come si possa ancora voler tentare un compromesso con un avversario è difficile da dire, ancor più che ora sta per partire la sfida diretta tra Trump e Biden che, almeno in questa fase, da parte dell’ex presidente si sostanzierà in pubblicità e discorsi per dire: Biden è troppo vecchio, troppo confuso, troppo inadatto non soltanto per fare di nuovo il presidente ma anche per candidarsi a farlo.

 

Biden ha deciso, anche alla luce della chiusura di fatto delle primarie dopo il ritiro dell’unica sfidante di Trump, l’ex governatrice Nikki Haley, di usare questo discorso sullo Stato dell’Unione per sottolineare i risultati raggiunti – soprattutto quelli economici, i più grandi e i meno percepiti dagli americani – per insistere sul ruolo stabilizzatore dell’America nel mondo e per denunciare quel che Trump ha portato e porterebbe al paese: bugie e caos. La cosiddetta Bidenomics è davvero una lista di successi in termini di crescita dei salari, di disoccupazione, di investimenti in infrastrutture e innovazione, di inclusione. Resta ancora da domare l’inflazione, che è la più sentita dagli elettori e che è nei sondaggi sempre in cima alle preoccupazioni e molti consulenti – soprattutto di centri studi più a sinistra – hanno inondato la Casa Bianca di rilevazioni e di proposte per far sì che gli effetti dell’economia forte si sentano nella vita quotidiana.

 

  

Biden vuole ribaltare quel che è stato ed è un grande mantra del trumpismo, cioè che i democratici siano al traino degli interessi delle élite e dei ricchi e che soltanto i repubblicani – o meglio: Trump in persona – abbiano a cuore la working class e le fasce meno abbienti. I numeri danno ragione a Biden, ma poi ci sono tutti gli altri fattori che hanno a che fare con la leadership, con la capacità di proiettare sicurezza e forza. Il contesto è tutt’altro che rotondo, non soltanto perché in mezzo ci sono le guerre in Ucraina e a Gaza – sono grandi le pressioni su Biden soprattutto su quest’ultima crisi, che ha già condizionato anche il voto delle primarie e anche per questo gli Stati Uniti hanno deciso di costruire un porto temporaneo nella Striscia per aumentare l’ingresso di aiuti umanitari  – ma anche perché lo stesso Stato dell’Unione, una volta un momento quieto di liturgia istituzionale, si è trasformato in un rumoroso momento di scontro. Il presidente ha voluto mitigare il nervosismo della vigilia con un video che ha postato sui social: ha parlato con gli attori che hanno interpretato nei loro film e serie tv il presidente degli Stati Uniti e ha chiesto loro dei consigli. Il senso è sempre: gentilezza e unità, contro gli spigoli.

      

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi