oltre la propaganda

Jorit e Putin, ecco cosa vuol dire davvero fare graffiti in Russia

Micol Flammini

Facile la street art per chi va a Sochi a fare una foto con Putin, molto più complessa e parecchio rischiosa per chi è russo, contrario alla guerra e protesta contro Putin. Le storie di Philippenzo e di Timofej Radej

Ci sono artisti italiani di graffiti  che viaggiano fino a Mariupol, città ucraina occupata da Mosca, per disegnare su un palazzo bruciato dai bombardamenti russi il volto di una bambina con il volto graffiato, e vanno a Sochi, la città russa sul Mar Nero, per dire a Vladimir Putin – il mandante di ogni palazzo bruciato o distrutto in Ucraina, di ogni graffio o uccisione – che è un presidente umano, “come tutti”. Ci sono invece artisti russi di graffiti  che la Russia la devono lasciare, perché nel potere non hanno riscontrato tutta questa umanità, perché sono contrari alla guerra in Ucraina e alla repressione del dissenso in Russia e, dopo aver condotto una loro rivolta per le mura delle città russe, dopo essere stati arrestati più volte per un disegno o una frase, hanno deciso di mettersi in salvo all’estero. Philippenzo è forse il più famoso di questa genia di artisti russi e la sua ribellione iniziò quando, poco dopo l’inizio dell’invasione del 24 febbraio, andò a cancellare una sua opera.  Aveva dipinto un muro di colori sgargianti e sopra aveva scritto: la giovinezza è ora. Coprì tutti i colori con un’unica pesante pennellata di grigio e scrisse: la guerra è ora. Un invito a cogliere l’attimo e celebrare la giovinezza si tramutò nella constatazione che in Russia tutto si era fermato. Per il 9 maggio del 2022, quando Vladimir Putin preparava la prima parata di guerra per quello che viene chiamato in Russia “il giorno della vittoria” e che ricorda la vittoria sul nazismo, Philippenzo nella città di Volgograd, la Stalingrado dell’Unione sovietica,  riempì un muro di bare e scrisse vicino: “Zink Nash!”, “Il nostro zinco!”.

 

 

La frase riecheggiava un motto che si era diffuso nel 2014 dopo l’annessione illegittima della Crimea, “Krym nash!” - “la Crimea è nostra!”, e voleva mostrare che in quel 9 maggio in Russia più che ricordare la fine della Seconda guerra mondiale, della resistenza di Stalingrado e  di chi era morto per combattere il nazismo, bisognava pensare ai nuovi caduti, quelli mandati in Ucraina per combattere contro un nemico che non esiste e tornati in bare di zinco. E’ stato fermato dalla polizia e multato per tre volte per aver screditato l’esercito, ma la sua attività è andata oltre. Fino a quando sotto un ponte di Mosca, l’artista aveva scritto una parola nuova, un neologismo per spiegare cosa era diventato il suo paese: izrossilovanie. Una crasi tra due parole: Russia (Rossja) e violenza, o stupro (iznasilovanie), che suonava come una malattia, come il nome di questa nuova èra russa, come un sinonimo della parola “violenza”. Diventa difficile la vita di un artista quando decide di fare della sua arte una forma di protesta, quando stabilisce, come ha fatto Philippenzo, che dopo l’invasione totale dell’Ucraina ogni gesto deve diventare politico. Dopo un breve periodo in Georgia, l’artista era tornato in Russia, dopo l’ultimo arresto ha deciso di andare via di nuovo e si è trasferito in Lituania.  Philippenzo aveva realizzato a Mosca la scritta  izrossilovanie per il 12 giugno del 2022, lo stesso giorno, che in Russia è festa nazionale, a Ekaterinburg, un altro artista, Timofej Radej, aveva affisso su due palazzi la scritta “Vivi nel passato”. Radej voleva dire ai suoi concittadini che non si rendevano conto di essere ingannati, che vivevano in una finzione. Le autorità smontarono l’installazione e la buttarono giù dai palazzi su cui era sorta lettera per lettera, caddero giù una a una per viale Cosmonauti. Radej è conosciuto per le sue scritte, per le sue frasi sospese nel cielo, e questa settimana uno dei suoi ultimi lavori è stato coperto da un lenzuolo. Sempre a Ekaterinburg aveva scritto sopra l’edificio di un’ex fabbrica: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”. Ora quelle lettere sono coperte, nonostante la scritta fosse del 2017. La damnatio memoriae degli artisti russi va anche a ritroso e si punisce oggi anche quello che in passato era stato permesso, forse perché non era stato capito. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.