L'Ecuador, la guerra in Ucraina e la diplomazia delle banane del Cremlino

Luciano Capone

Quito voleva mandare armi all’Ucraina attraverso un accordo con gli Stati Uniti, ma ha cambiato idea perché la Russia ha smesso di comprare le sue banane. Due lezioni per l'Occidente

La guerra in Ucraina si combatte su tutto il globo, anche in Sud America, e con tutti i mezzi, anche con le banane. A fine dicembre il presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa, aveva annunciato un accordo con gli Stati Uniti per aiutare l’Ucraina. Quito avrebbe ceduto a Washington vecchio materiale bellico di fattura russa, che a sua volta sarebbe stato inviato a Kyiv; in cambio gli Stati Uniti avrebbero ceduto all’Ecuador equipaggiamento moderno da usare nella feroce guerra contro i narcos.

L’accordo era vantaggioso per tutti: per gli Stati Uniti perché per la prima volta un paese sudamericano si impegnava nel sostengo all’Ucraina; per l’Ucraina perché sarebbero arrivati pezzi di ricambio per gli armamenti di progettazione russo-sovietica; per l’Ecuador, alle prese con un aggiustamento fiscale, per ripristinare l’ordine interno. “Siamo contenti che l’Ecuador sostenga l’Ucraina”, aveva dichiarato Kevin Sullivan, funzionario del Dipartimento di stato americano in visita a Quito.

Naturalmente, l’accordo non piaceva alla Russia che aveva stretto rapporti forti con l’Ecuador ai tempi di Rafael Correa, l’ex presidente socialista amico di Vladimir Putin, condannato per corruzione (ora latitante in Belgio) che aveva ospitato Julian Assange nell’ambasciata a Londra e che ha avuto, come Assange, un talk show sulla tv russa RT. Inizialmente, Mosca ha sollevato il problema della violazione dei contratti che impediscono la cessione di armi a terzi senza l’approvazione del Cremlino. L’obiezione dell’Ecuador è stata che non si trattava di armi ma di “rottami metallici”, di sistemi non funzionanti, e quindi cedibili secondo gli accordi internazionali.

A quel punto, lo scorso 3 febbraio, la Russia ha reagito bloccando l’importazione di banane dall’Ecuador, adducendo una giustificazione fitosanitaria. Un colpo notevole per l’Ecuador: le banane sono la principale industria del paese, con 3,5 miliardi di dollari di fatturato. La Russia, per giunta, importa circa il 25 per cento della produzione ecuadoriana (800 milioni di dollari, pari all’82 per cento di tutto l’export di Quito verso Mosca). Al tema è particolarmente sensibile il presidente Noboa, figlio dell’uomo più ricco del paese, che non a caso è il più grosso produttore di banane. Così, all’improvviso, arriva la marcia indietro: la Russia toglie il blocco alle banane e l’Ecuador, come riporta il Wall Street Journal, rinuncia a mandare indirettamente armi all’Ucraina.

La vicenda ecuadoriana è marginale rispetto alle sorti del conflitto, ma fornisce due lezioni importanti all’occidente. La prima è che è difficile che piccole nazioni si impegnino a fianco degli Stati Uniti sullo scacchiere geopolitico se proprio da Washington arrivano segnali di disimpegno, come l’imbarazzante stallo creato dall’ala trumpiana sui nuovi aiuti all’Ucraina. La seconda lezione è che per coinvolgere i paesi in via di sviluppo, senza usare i metodi di Putin che in Sud America si appoggia alle dittature di Venezuela Cuba e Nicaragua, l’occidente deve portare sviluppo e integrazione economica. Ma anche su questo fronte si fa poco. Mentre l’Europa tiene fermo da anni l’accordo di libero scambio con il Mercosur, fondamentale per rafforzare i legami con l’America latina, l’Ecuador ha appena approvato un accordo di libero scambio con la Cina.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali