Prabowo Subianto - foto Ansa

Dopo il voto

In Indonesia con il presidente eletto torna il rischio autoritarismo

Massimo Morello

L'esito del voto porta con sé il rischio che la più grande nazione musulmana moderata si trasformi in una vera e propria autocrazia. I timori dietro all'elezione dell’attuale ministro della Difesa Prabowo Subianto

Bangkok. “Sì, l’Indonesia può anche essere una ‘pseudo democrazia’. Ma io domani posso tornare a Giacarta a votare, senza paura”, ha detto Kharisma Nugroho, un intellettuale indonesiano, a Bangkok alla vigilia del voto. Il giorno seguente oltre 200 milioni di elettori hanno votato per eleggere il presidente e il vicepresidente del quarto paese al mondo per popolazione. “È vero. Per ora torna a Giacarta senza problemi. Ma potrà ancora farlo?”, commenta Lia Sciortino Sumaryono, direttrice del centro studi Sea Junction di Bangkok, prima ancora che si chiudano i seggi. In queste battute si sintetizza il significato del voto, gravato dal peso di una serie di definizioni ripetute con enfasi. L’Indonesia è definita la terza democrazia al mondo (dopo India e Usa) e la più grande nazione musulmana moderata. Il voto di oggi è un test dell’integrità di queste definizioni. Secondo Sciortino, che non crede in tali definizioni “perché la democrazia non è tale se non c’è opposizione”, il rischio è che la “pseudo democrazia” indonesiana si trasformi in una vera autocrazia. Un rischio materializzato nel risultato delle elezioni.

 

 

Già oggi, a una decina di ore dalla chiusura dei seggi, appariva netta (con quasi il 59 per cento) la vittoria dell’attuale ministro della Difesa Prabowo Subianto, un ex generale accusato di crimini di guerra, noto per le sue attività di repressione degli indipendentisti a Timor Est e a Papua. Secondo Andreas Harsono di Human Rights Watch in Indonesia, rappresenta “il maggior rischio per la democrazia dai tempi di Suharto”, il dittatore che ha governato dal 1965 al ‘98. E suocero dello stesso Prabowo. Alla carica di vicepresidente viene eletto Gibran Rakabuming Raka, 36 anni, figlio dell’attuale presidente Joko Widodo, che non potendo candidarsi per un terzo mandato, ha adottato una politica sempre più diffusa in Asia: quella dinastica. Per farlo ha dovuto far modificare la norma che avrebbe impedito a suo figlio di candidarsi perché troppo giovane, grazie a suo cognato, presidente della Corte costituzionale. Quindi, poiché molti nel suo partito non intendevano sostenerlo, ha deciso di sponsorizzare Prabowo, colui che nelle due precedenti elezioni era stato il suo avversario. Jokowi è stato rieletto, sia pure per interposta persona. Se c’è riuscito è perché la  maggioranza degli indonesiani ha apprezzato la sua politica economica, un mix di crescita (stabile al 5 per cento annuo circa), sviluppo delle infrastrutture e assistenzialismo.
 

Il presidente eletto Prabowo, tuttavia, non si può liquidare come un “uomo di paglia” di Jokowi. Incarna molti poteri forti indonesiani, sia per relazioni familiari, sia per interessi economici  (suo nonno ha fondato la prima banca di stato, suo fratello è un potente tycoon). Per gli altri due candidati, il governatore di Jakarta Anies Baswedan e l’ex governatore di Central Java Ganjar Pranowo, l’unica speranza era che Prabowo non passasse al primo turno, e in quel caso sarebbe stato decisivo l’appoggio delle organizzazioni musulmane, in particolare degli integralisti. Per il momento quell’appoggio si è riversato su Anies, secondo col 25,10 per cento dei voti.  “I brogli sono stati fatti prima”, commenta Lia Sciortino riferendosi alle irregolarità già denunciate. “Ma per quando ci saranno i risultati definitivi, se ne saranno scordati, avranno già fatti nuovi accordi”.

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