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Editoriali

Attentato a Busan, accoltellato il leader della sinistra coreana

Redazione

Mentre il dittatore nordcoreano Kim Jong Un aumenta le minacce, l'attentato in Corea del sud arriva in una fase politica particolarmente delicata per il paese, tra estremismi e tensioni popiuliste 

Poteva essere un omicidio, il secondo di un politico nel giro di pochi anni in Asia orientale, dopo quello dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe. Lee Jae-myung, presidente del Partito democratico di Corea, è stato attaccato con un coltello durante un incontro con il pubblico a Busan: un uomo di 66 anni identificato solo con il cognome Kim gli si è avvicinato per chiedergli un autografo, ma poi ha tirato fuori un coltello da 18 centimetri e ha colpito Lee al collo. L’attentatore è stato subito fermato, il presidente Lee ha subìto un’operazione  e sarebbe fuori pericolo.  Non sono ancora chiare le motivazioni dell’uomo, ma l’attentato arriva in una fase politica in Corea del sud particolarmente emotiva, dove populismo e complottismi dominano anche il discorso pubblico a meno di cento giorni dalle elezioni generali.

Lo scorso anno, Lee ha perso le presidenziali contro Yoon Suk-yeol, attuale presidente della Repubblica di Corea, e finora la sua opposizione è stata tutta incentrata contro la politica estera di Yoon, contro la Nato e l’America, per il riavvicinamento alla Cina e soprattutto alla Corea del nord – Lee è stato ricoverato qualche mese fa anche per un lunghissimo sciopero della fame che stava conducendo contro la presidenza Yoon. Nel 2015 Mark Lippert, l’ex ambasciatore americano in Corea del sud, fu colpito da un sostenitore del riavvicinamento con il regime di Pyongyang ed ebbe bisogno di 88 punti sul volto e la mano. Tutta la politica sudcoreana ha giustamente definito  quello contro l’ex candidato alla presidenza   un “attentato terroristico” contro la democrazia. Ma soprattutto l’azione aggiunge confusione ed estremismi nel panorama politico del paese che per primo è costretto ad affrontare  una delle sfide più cruciali degli equilibri del Pacifico: il dittatore nordcoreano Kim Jong Un ha annunciato domenica scorsa per la prima volta che il paese non ricercherà più la “riunificazione” con la Corea del sud, definita ormai “impossibile”. È un cambio di politica radicale che vuol dire: aumentare le ostilità, la deterrenza, gli armamenti.