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L'editoriale del direttore

Capire il gran ballo delle destre mondiali con una parola: globalizzazione

Claudio Cerasa

Milei, Trump, Le Pen, Wilders, Sunak, Morawiecki, Abascal, Haley, Tusk, Mitsotakis, Orbán. Ma quand’è che le destre sono in grado di arginare gli estremismi? La risposta è una: globalizzazione. Buone notizie dall’Italia

Più mercato, meno sfascismo. Questo articolo nasce da una piccola constatazione che non coincide forse con una tesi granitica ma che rappresenta un fatto comunque interessante da studiare per provare a capire qualcosa di più su quelle che sono alcune dinamiche nuove della politica mondiale. Questo articolo nasce dalla volontà di capire se esista o no un filo rosso che colleghi alcune tra le figure più scoppiettanti, per così dire, che animano l’internazionale delle destre mondiali. Questo articolo nasce per capire se vi sia o no qualcosa in comune tra il candidato alla presidenza americana Donald Trump, il neo presidente argentino Javier Milei, il presidente ungherese Viktor Orbán, il nuovo premier polacco Donald Tusk, il primo ministro inglese Rishi Sunak, il leader del primo partito olandese Geert Wilders, il leader della destra estrema spagnola Santiago Abascal, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, la leader dell’estrema destra tedesca Alice Weidel, la repubblicana americana amata dal Wall Street Journal Nikki Haley e il primo ministro italiano Giorgia Meloni. Sono tutti leader di destra, e questo è ovvio. Ma quello che invece è meno ovvio è provare a capire se le mille sfumature che presenta oggi la destra, in tutto il mondo, ci stiano dicendo o no qualcosa sull’evoluzione della destra mondiale. Nonostante le molte declinazioni presenti in giro per il mondo, la sinistra tutto sommato vive ancora all’interno di una logica tradizionale (leader centrista, alla Biden, attento al mercato e alle libertà, che affronta un leader più radicale, alla Sanders, più attento ai diritti che ai doveri, più attento alla redistribuzione che alla produzione: usate questo schema e avrete di fronte a voi due modelli di sinistra applicabili in tutto il mondo). Per la destra lo stesso non si può dire. È pigro ragionare sull’evoluzione della destra evocando la dialettica tra fascismo e antifascismo (Milei viene descritto dalla stampa italiana come un fascista trumpiano, pur essendo in economia e non solo l’opposto del trumpismo).

È invece meno pigro esplorare altre strade. Una prima strada è la chiave della politica estera, ma anche qui le contraddizioni sono infinite e come direbbe Fantozzi “i diti” rischierebbero di intrecciarsi tra loro. Milei è pro Israele e pro Ucraina. Orbán, che è andato alla sua prima da presidente è pro Israele, ma è poco pro Ucraina. I nemici di Trump vedono in Milei un altro Trump, ma la politica estera di Milei è più simile a quella dei rivali interni di Trump che a quella di Trump, e così via. Una seconda strada, più convincente, è provare a mettere a fuoco la vera faglia tra le destre mondiali ragionando su un dettaglio specifico dell’economia. Qui qualcosa inizia a tornare. Le destre mondiali si trovano compatte quando devono presentarsi sulla scena come argine unico all’illiberalismo delle sinistre ma si trovano divise in due quando devono ragionare sul futuro della globalizzazione. Con una distanza interna tra i fronti infinitamente superiore a quella che vi è tra i due fronti interni della sinistra. Può succedere che vi siano delle destre in grado di usare la difesa del libero mercato come uno specchietto per le allodole per camuffare il proprio estremismo (Bolsonaro era a favore del libero mercato ma era anche un illiberale estremista nemico dello stato di diritto). Ma più in generale la dialettica tra le due grandi destre mondiali è questa. Da un lato vi è una destra che trasforma la propria fiducia nei mercati nel riflesso del proprio amore per la libertà (e chi non ama la globalizzazione tende a essere insensibile sul fronte della difesa delle democrazie assediate). Dall’altro lato vi è una destra che trasforma l’odio nei confronti della globalizzazione nel simbolo massimo della propria idea oscurantista di libertà (e chi ama il protezionismo di solito tende a considerare ogni problema risolvibile più per via nazionale che per via comunitaria). Buona parte delle destre mondiali ha grosse difficoltà a trovare un punto di incontro sui grandi temi per questo motivo.

E se si osserva senza paraocchi ideologici il gran ballo delle destre mondiali non si potrà non notare che l’unico caso di destra in grado di tenere insieme tutto e il contrario di tutto è quella strana creatura rappresentata dalla destra italiana che con mille contraddizioni ha trovato un equilibrio da studiare: dare l’illusione di essere molto vicina al modello protezionista di Orbán e di Trump capendo però che l’unico modo per governare è dimostrare ogni giorno di essere un argine alla stessa destra estrema che finge di rappresentare. Ci sono molte spie che possono aiutare a capire quale dei modelli di destra ha avuto in sorte un paese. Ma il modo migliore per comprenderlo è osservare nella realtà come la destra sceglie di posizionarsi quando si parla di globalizzazione e dunque di difesa della libertà. E tutto sommato l’Italia di oggi, viste le destre che si agitano in giro per il mondo, più che un modello da combattere è un modello da studiare per capire che passaggi deve fare la destra per fingersi estremista mentre prova a diventare il suo opposto anche con l’aiuto di chi l’estremismo lo ha coltivato. Più mercato c’è, meno sfascismo ci sarà. Chissà se la regola varrà anche nell’Argentina no hay plata di Milei. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.