A Washington

Biden accoglie Zelensky per rassicurarlo e per mostrare agli americani perché Kyiv va difesa

Paola Peduzzi

E' la terza volta da quando Putin ha aggredito l'Ucraina: se si fa il paragone con un anno fa, un po' ci si deprime. Quanti compromessi vuole raggiungere il presidente americano con i repubblicani e la minaccia all'occidente libero che gli ucraini combattono

Volodymyr Zelensky arriva a Washington per incontrare i leader del Congresso e il presidente, Joe Biden. E’ la terza volta da quando Vladimir Putin ha aggredito l’Ucraina quasi ventidue mesi fa, che il presidente ucraino  va in visita negli Stati Uniti:  la prima era stata un anno fa, ed era stata gloriosa e commovente. C’erano già i repubblicani che dicevano che i fondi a sostegno dell’Ucraina erano eccessivi e senza controllo, il futuro speaker del Congresso Kevin McCarthy (quello che è durato pochissimo perché ha creduto di poter assecondare i trumpiani e poi governarli) aveva già tirato fuori quella espressione riluttante “non daremo assegni in bianco” a Kyiv, ma non c’erano dubbi sul fatto che l’Ucraina non avesse alcuna alternativa se non vincere contro Putin, il quale minacciava e minaccia tutto l’occidente.

Oggi il clima è  diverso, anche se la maggioranza degli americani continua a essere a favore del sostegno degli ucraini – è un sostegno in calo, certo, ma c’è – e anche se i contrari a continuare ad aiutare l’Ucraina sono sempre pochi, ma hanno convinto gli altri che conviene farsi pagare bene – cioè con misure restrittive sul confine sud – questo sostegno. E gli altri li hanno ascoltati, perché è così che funziona il Partito repubblicano americano in ostaggio di isolazionisti che devono nascondere ai loro elettori i dati di questi aiuti agli ucraini, altrimenti sarebbero costretti a rivelare che quei fondi restano in America per produrre armi e pagare gli stipendi di chi le fabbrica.

Slogan e cocciutaggine ideologica hanno reso finora impossibile far approvare al Congresso il pacchetto di aiuti militari da 106 miliardi di dollari a tutti gli alleati, tra cui 68 per l’Ucraina e le discussioni sono diventate talmente astiose che la scorsa settimana i democratici al Senato hanno detto a Zelensky, che voleva collegarsi in videoconferenza con i senatori per ribadire quanto l’aiuto americano sia decisivo, di non farlo. Era inutile, forse anche troppo deprimente.

Biden ha detto che vuole che questi fondi siano approvati prima di Natale, e di tempo ce n’è invero poco: il presidente americano sa che il 2024 sarà un anno politicamente molto difficile  per lui e per l’Europa e vuole garantire a Kyiv un fondo solido cui attingere. Per questo è disposto a fare concessioni sull’immigrazione e alcuni senatori democratici hanno detto che si stanno facendo passi in avanti anche abbastanza rapidamente. Soprattutto Biden vuole rassicurare Zelensky sul fatto che il sostegno è “incrollabile” e che lui farà tutto ciò che è in suo potere (che è più di quel che si pensi) per continuare a difendere l’Ucraina dall’aggressione russa. Zelensky non ha modo di influenzare questo processo se non raccontare a che cosa servono questi fondi, sia dal punto di vista ideale – l’Ucraina non difende soltanto sé stessa, ma tutta l’Europa, quindi l’occidente – sia da quello concreto e umano: sotto ai colpi russi, sia al fronte sia in tutte le città ucraine, si continua a morire.

Alcune fonti di Kyiv dicono che alcuni esponenti del Partito democratico e dei centri studi non isolazionisti hanno chiesto di portare testimoni e testimonianze in America in modo da far capire agli elettori che quel che a loro sembra remoto e anche un pochino “fermo” è in realtà vicino e dinamico, o meglio: fatale. Zelensky è il primo di questi testimoni, dice che i ritardi aiutano Putin e la sua guerra contro tutto l’occidente libero e che per questo va fermato. Ma che i parlamentari americani abbiano bisogno di sentirsi ricordare che senza il loro aiuto gli ucraini muoiono, dopo 22 mesi, dice molto dell’arrendevolezza dei repubblicani americani di fronte a Putin.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi