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dalla nostra inviata

A nord Israele confina con l'Iran. Le foto di Hamas che si arrende

Micol Flammini

Come evitare un conflitto tra Israele e Hezbollah. La deterrenza delle immagini di Gaza vista da nord

Jish (confine tra Israele e Libano), dalla nostra inviata. La cupola della moschea di Maroun al ras brilla in lontananza, ogni volta che il sole scivola fuori dalle nuvole, manda un bagliore e sembra un avvertimento. Sessantamila persone in ventotto villaggi israeliani nel raggio di quattro chilometri e mezzo dal confine sono stati evacuati dopo il 7 ottobre e per loro non ci sono piani di ritorno imminenti. Un civile è stato ucciso da un missile anticarro sparato dal Libano, si trovava a Matat. Hezbollah spara da città sciite, come Yaroun, che spesso però si trovano dietro a città maronite che vengono usate come scudi. Tra esercito israeliano e milizie di Hezbollah lo scambio di fuoco è continuo, gli abitanti rimasti oltre la zona messa in sicurezza sono abituati ai colpi, agli allarmi e all’idea che quello che è accaduto a sud, a ridosso della Striscia, potrebbe ripetersi anche qui. Il piano esisteva già ed era molto simile a quello messo in atto da Hamas. Talmente simile che in pochi credono che tra Hezbollah e i terroristi di Gaza non ci sia stato almeno uno scambio di idee. I leader dei due gruppi si sono incontrati spesso prima del 7 ottobre e Hamas non ha fatto altro che imitare.

Da vicino alla moschea di Maroun al ras, che un tempo era una città maronita ed è oggi una roccaforte sciita, Hezbollah spara di frequente, da lì anni fa il generale iraniano Qassem Suleimani, indicando le colline israeliane davanti a sé, parlò del piano per invadere Israele: una pioggia di razzi seguita da un attacco via terra contro le comunità vicine al confine. Parlava dei tunnel tramite i quali i miliziani sarebbero potuti entrare e sorprendere lo stato ebraico e se Israele ne ha già trovati sei di cunicoli che portano dritti alle città sciite dietro al confine, anche se Hezbollah sostiene di averne altri, l’attacco di Hamas a sud ha dimostrato che non servono gallerie sotterranee per un attacco a sorpresa. Hezbollah aspetta, insieme all’Iran, che lo ha creato: “Non sono intervenuti finora perché non vogliono prendere parte a quella che viene percepita come la causa di Hamas”, dice al Foglio Avital Leibovich, direttrice dell’American Jewish Committee in Israele. La potenza di Hezbollah è maggiore rispetto a quella di Hamas, ha un arsenale che conta circa 150 mila razzi con differenti capacità e accuratezza, hanno droni e soprattutto un’unità creata con l’obiettivo di prepararsi ad attaccare Israele. “L’unità radwan”, dice Leibovich, “non esisteva nel 2006, sono miliziani posizionati vicino al confine con l’idea di sparare contro Israele e di tenersi pronti per quando Hezbollah darà l’ordine per attaccare le comunità israeliane vicine alle frontiera. In questi commando militano anche terroristi palestinesi che si trovano in Libano. Nei lanci di razzi dei mesi scorsi, Hezbollah ha spesso scaricato la responsabilità su Hamas, ma nulla in Libano avviene senza l’approvazione dei miliziani sciiti”.

Le capacità di Hezbollah sono più progredite, i miliziani dell’unità radwan sono ben addestrati, hanno combattuto in Siria, spesso anche a contatto con gli uomini dei mercenari russi della Wagner e sono stati posizionati con lo scopo di invadere un giorno Israele. Shadi Khalloul vive al confine, ha fondato la Israeli Christian Aramaic Association, fino a quando ha potuto ha mantenuto rapporti con le comunità maronite in Libano. Poi Hezbollah ha troncato ogni possibilità di contatto, di aiuto, di scambio, per chi è a Beirut è molto pericoloso. Quando sente uno sparo, Shadi prende il binocolo e cerca di capire dove è caduto, indica da dove partono i colpi dei miliziani, le città maronite e quelle sciite, indica anche il confine: una rete labile che chiunque potrebbe tagliare. Dice che Hamas aveva detto che avrebbe attaccato Israele, ma si pensava che non fosse capace, che la minaccia non si sarebbe realizzata. Con Hezbollah la minaccia vale di più e sarebbe l’errore più grande di Israele non prendere in parola i miliziani quando dicono: invaderemo Israele. “Ci proveranno, hanno le capacità”, dice Shadi. Il confine settentrionale è il coltello dell’Iran contro Israele, “con Hamas è un’altra storia, Teheran ha provato a reclutarli promettendo loro la Galilea, ma adesso non si immischia, aspetta. Dietro a Hamas c’è il mondo sciita che è più vasto e non ha condannato le aggressioni dei terroristi della Striscia, se Hezbollah avesse attaccato per primo, invece, quel mondo si sarebbe apertamente schierato contro”. Questo senso di attesa interrotto dall’artiglieria avrebbe però una soluzione diplomatica. Anzi, c’è già una risoluzione che dice con chiarezza che l’unità radwan vicino al confine non dovrebbe esserci. “La presenza degli uomini di Hezbollah alla frontiera con Israele rappresenta una minaccia immediata, dovrebbe esserci l’esercito regolare, non dei miliziani finanziati dall’Iran”, dice Leibovich, “basterebbe riaffermare la risoluzione dell’Onu 1701, che afferma che sotto al fiume Leonte non è ammessa la presenza di terroristi, né radwan, né Hezbollah, né Hamas”. Anche il mandato di Unifil è troppo limitato in una situazione come quella al confine tra Israele e Libano: “Non hanno un mandato di intervento attivo e senza come si fa a bloccare un gruppo di terroristi che controlla il Libano?”, conclude Leibovich.

Il 7 ottobre ha insegnato a Israele che i terroristi vanno presi in parola e qui a nord, Gaza sembra una storia lontana e una premonizione. Nessuno vuole un altro fronte di guerra, l’operazione di Israele nella Striscia serve anche a mostrare a Hezbollah quale sarebbe la reazione in caso di attacco: la notizia che ha iniziato a circolare sui media israeliani, di decine di guerriglieri di Hamas che si sarebbero arresi alle forze israeliane, insieme alle fotografie di palestinesi spogliati fino alla biancheria intima, bendati e con le mani legate dietro la schiena, serve anche a rafforzare quel messaggio. Ma i lanci di proiettili dal confine sono sempre più difficili da ignorare. Se nei kibbutz del sud si parla di ritorno, a nord la linea dell’evacuazione potrebbe estendersi. “Il nostro vicino è l’Iran”, dice Shadi, indicando il confine, “non è il Libano”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.