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L'Ue promuove la riforma del Codice degli appalti tracciata da Draghi e sposata da Fitto

Giorgio Santilli

L’attuale ministro per gli Affari europei ha saputo comprendere il valore del lascito dell'ex presidente della Bce e l'operazione ha convito anche Bruxelles

L’eredità di Mario Draghi continua a vegliare sul Pnrr italiano anche ora che è firmato da Giorgia Meloni e Raffaele Fitto. Le riforme draghiane a Bruxelles continuano a essere un faro che protegge l’attuale governo. Chi avesse dei dubbi dovrebbe leggere la pagella (assessment) della Commissione Ue sulla quarta rata e concentrarsi sulle dodici pagine (su 105) dedicate a quella che è stata la partita più pericolosa di questo tornante: la riforma del Codice degli appalti. La parola Draghi non compare mai, ovviamente, ma la ricostruzione non lascia dubbi. Stupisce, anzitutto, la promozione a pieni voti del Codice degli appalti che per sei mesi è stato oggetto di discussione feroce tra Bruxelles e il governo di Roma.  Al punto che per salvare la revisione generale del Pnrr la Commissione e Fitto hanno imposto al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini una marcia indietro sulla concorrenza per le opere fino a 5,3 milioni di euro. Fatta eccezione per questo punto, su cui si ribadisce che non esiste altra interpretazione se non quella europea recepita dalla circolare di Salvini, il resto del documento è tutto un elogio delle decisioni italiane: molto bene la qualificazione e la riduzione delle stazioni appaltanti, impostata dal protocollo di intesa firmato tra Mario Draghi e l’Anac; molto bene le semplificazioni che hanno stabilizzato “il set” di norme varate da Draghi con il decreto legge 77/2021. Anzi, per raggiungere i risultati promessi nei mesi prossimi, bisognerà definitivamente rafforzare quelle norme nella parte dei processi di autorizzazione ai progetti, ancora un po’ carenti; molto bene la riforma del subappalto, voluta da tempo dall’Ue e che solo Draghi è riuscito a recepire con nettezza del principio ma anche con un equilibrio che consente di difendere la sicurezza e la salute dei lavoratori e di vigilare sul rischio di infiltrazioni mafiose. E così via: la legge delega l’ha scritta Draghi, la decisione di affidare la redazione del testo al Consiglio di stato l’ha presa Draghi, i quattro pilastri di cui la Commissione Ue appare entusiasta (qualificazione e subappalto, ma anche digitalizzazione e centrali di committenza) li ha impostati Draghi. 


Anche l’entusiasmo mostrato dalla Commissione per il lavoro dell’Anac, una specie di faro che deve illuminare il seguito delle vicende italiane in questo settore, nasce probabilmente dall’intuizione con cui Draghi, di fronte alla grande diffidenza europea sulla capacità italiana di mantenere le promesse in questa materia, nel dicembre 2021 firmò con l’Autorità anticorruzione un memorandum of understanding per promettere una serie di iniziative congiunte e farsi approvare la prima tranche del Pnrr. 
Sarà forse anche per tutto questo che Fitto, sempre attento agli umori di Bruxelles, ha voluto ribadire in queste ore che “le riforme costituiscono sono una parte essenziale del Pnrr e del percorso di modernizzazione del paese” e che “il Pnrr prevedeva inizialmente 59 riforme che sono state tutte mantenute”. È vero che ce ne sono sette nuove aggiuntive, ma le parole con cui Fitto oggi esalta questo processo somigliano molto a quelle con cui Draghi corresse sostanzialmente ad aprile 2021 il piano predisposto dal suo predecessore Conte: le riforme “contribuiscono anzitutto a creare un contesto favorevole alla crescita economica, aumentando l’attrattività dell’Italia per gli investimenti” e poi “hanno un’importante funzione di rafforzamento della coesione sociale, favorendo la partecipazione al mondo del lavoro, rafforzando le competenze professionali di fronte alle sfide delle trasformazioni in atto e intervenendo per l’inclusione dei soggetti più deboli”. Infine, “le riforme contribuiscono a perseguire gli obiettivi dell’efficienza energetica e della tutela dell’ambiente”.  


Parla Draghi o Fitto? L’attuale ministro per gli Affari europei e il Pnrr prima e più di tutti ha compreso il valore di quel salvacondotto politico che la Commissione ci racconta, per esempio, con i dettagli e il linguaggio dei tecnici sul Codice degli appalti: camuffarsi un po’ da Draghi conviene. Se poi se ne condivide pure lo spirito, l’operazione risulta più autentica e ci crede anche Bruxelles. 
 

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