L'editoriale del direttore

Capire l'eredità di Kissinger discutendo di “AI”, senza catastrofismo

Claudio Cerasa

Le nuove leadership nasceranno attorno a una domanda senza risposta, quella che faceva l'ex segretario di Stato ai suoi interlocutori. L'attenzione che si deve avere per l'intelligenza artificiale e il pessimismo che si deve evitare

Ma se un copilota di un aereo o un chirurgo robot dovessero trovarsi in una situazione di emergenza, tra un soggetto umano e un algoritmo particolarmente affinato chi dovrebbe essere a prendere il controllo di un’operazione? Henry Kissinger ha trascorso buona parte della sua vita a suggerire risposte e ha trascorso un piccolo pezzo della sua vita a suggerire domande. Le risposte più importanti che Kissinger ha cercato di offrire alle istituzioni che ha servito sono le risposte che tutti conoscete. Risposte sulle minacce nucleari, risposte sulla Guerra fredda, risposte sui confini della deterrenza, risposte sul controllo degli armamenti, risposte sulla stabilizzazione dell’egemonia americana nel mondo. Le domande più interessanti che Kissinger si è posto invece in un breve tratto della sua vita sono le domande che riguardano un tema che l’ex segretario di stato e l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, morto ieri a cento anni, considerava centrale per il futuro dell’umanità. Domande di fronte alle quali Kissinger, pur parlandone molto e con una certa competenza, restava spesso senza parole. Kissinger era letteralmente “ossessionato” dall’intelligenza artificiale per via di una paura che non ha mai nascosto: l’intelligenza artificiale ci costringerà a riorganizzare la nostra politica e la nostra società, perché le potenziali capacità distruttive dell’IA “potrebbero essere molto più devastanti anche della bomba più grande”.

La paura di Kissinger è che i sistemi di intelligenza artificiale possano trasformare in modo radicale la guerra del futuro, svuotando l’armamentario della diplomazia mondiale, perché quei sistemi sono in grado di compiere mosse che nessun essere umano prenderebbe in considerazione. “Quello di cui sto parlando – ha scritto – è che nell’esplorare le domande legittime che poniamo loro, arrivano a conclusioni che non sarebbero necessariamente le stesse nostre e noi dovremo abituarci a vivere in questo nuovo mondo dove le interazioni tra rivali diventeranno più difficili da prevedere e i conflitti più difficili da limitare”.

L’approccio di Kissinger è però solo apparentemente apocalittico perché contiene al suo interno l’approccio giusto per provare a governare il fenomeno senza farsi travolgere dal pessimismo. Kissinger, naturalmente, dice che le potenze mondiali, come Cina e America, dovrebbero perseguire il controllo degli armamenti dell’intelligenza artificiale, come è stato fatto con le armi nucleari. Ma dice anche altro. E dice che l’intelligenza artificiale, se abbinata alla ragione umana, si rivelerà certamente uno strumento di scoperta più potente della sola ragione umana. “Il progresso dell’intelligenza artificiale è inevitabile, ma la sua destinazione finale non lo è”. Per farlo, dice Kissinger, occorre insegnare nelle università nuove competenze per aiutare gli studenti ad adattarsi all’intelligenza artificiale, per esempio, e rendersi conto che i tempi moderni richiedono statisti con una nuova visione per costruire un futuro migliore. “Un vero leader – ha detto giusto un mese fa Kissinger, ragionando sul tema dell’intelligenza artificiale – deve bilanciare la fedeltà alla storia con l’analisi del presente e l’intuizione per il futuro. I veri leader rispondono ai fallimenti delle società facendo appello ai valori più basilari dei loro popoli: libertà, speranza, trasparenza del governo e uguaglianza”. Un vero leader, di fronte a una sfida poderosa e pericolosa come quella offerta dall’intelligenza artificiale, deve trovare dunque un modo per governarlo, non per vietarlo, trasformando un pericolo  in un’opportunità di crescita e offrendo gli strumenti per rispondere un giorno non distante a una domanda senza risposta che Kissinger offriva spesso ai suoi interlocutori: ma se un copilota di un aereo o un chirurgo robot dovessero trovarsi in una situazione di emergenza, tra un soggetto umano e un algoritmo particolarmente affinato chi dovrebbe essere a prendere il controllo di un’operazione? Per capire il mondo che lascia Kissinger si può provare a partire anche da qui.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.