L'allargamento della guerra

La missione Onu in Libano doveva disarmare Hezbollah, oggi non sa vigilare. Il costo di un fallimento

Cecilia Sala 

Le mosse sbagliate delle Nazioni Unite possono costare una guerra più grande. I tunnel costruiti sotto il naso dei Caschi blu, i missili decuplicati e un avvertimento

Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha spedito una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su un questione non nuova, ma che è diventata molto urgente: la Forza ad interim dell’Onu in Libano – la missione Unifil a cui l’Italia partecipa con oltre mille soldatinon è in grado di garantire la sicurezza nel sud del paese, cioè di svolgere uno dei suoi compiti fondamentali. Nel testo a una constatazione segue una minaccia: se i Caschi blu non sanno tenere sotto controllo la zona, e se anche da postazioni vicine alle basi dell’Onu le milizie palestinesi e la milizia libanese Hezbollah continueranno a colpirci, allora le forze di difesa israeliane saranno costrette a sostituirsi di fatto alla missione e intraprendere “un’azione militare” estesa che potrebbe portare a una guerra più grande in tutta la regione. 

    

I primi razzi contro Israele sparati da nord sono arrivati l’8 ottobre, il giorno dopo il massacro di Hamas nei kibbutz. Per evitare escalation pericolose, Israele chiede da tempo che Unifil si occupi di rimuovere le postazioni di lancio di Hezbollah nel Libano meridionale. Un litigio diplomatico più serio di altri c’era stato nel 2018, quando si scoprì che i miliziani sciiti libanesi avevano costruito dei tunnel che conducevano fin dentro Israele sotto il naso dei caschi blu. A giugno di quest’anno, Hezbollah aveva allestito due piccoli accampamenti per i suoi combattenti oltre la Linea blu tracciata dalle Nazioni Unite in una mossa senza precedenti. Non esiste un vero confine riconosciuto tra il sud del Libano e il nord di Israele, e in mancanza di quello è la Linea blu a separare i due paesi: prima dell’estate non era mai accaduto che gli uomini di Hassan Nasrallah portassero le loro tende oltre il tratto di demarcazione. Cinque mesi fa un funzionario delle Nazioni Unite aveva confidato in forma anonima al Financial Times di non ricordare una provocazione “tanto sfacciata” da parte di Hezbollah da quando è finita la guerra diciassette anni fa. 

   

Quando Unifil è nata, con la risoluzione 1701 che ha messo fine alla guerra del Libano nel 2006, doveva essere una missione ad interim, ma è diventata sostanzialmente perpetua e con il passare del tempo ha perso efficacia. Hezbollah e i suoi alleati hanno manomesso più volte i dispositivi di sorveglianza piazzati in cima alla recinzione tecnica che percorre la Linea blu, e hanno costruito poligoni di tiro illegali a sud del fiume Litani, tutto senza che Unifil se ne accorgesse o riuscisse a impedirlo. Ad agosto il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha rinnovato il mandato di Unifil, ma gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti si sono lamentati della risoluzione perché, dicevano, non affrontava un problema cruciale: l’ostruzionismo di Hezbollah che impedisce alla missione delle Nazioni Unite di fare fino in fondo il proprio lavoro.

  

Unifil ha sicuramente fallito nel raggiungere quello che, in origine, era uno dei suoi scopi primari: disarmare Hezbollah. La milizia-partito protetta dall’Iran da allora ha accumulato molte più armi e oggi ha dieci volte più missili rispetto al 2006, ha usato la forza per sostenere il regime di Bashar al Assad in Siria e ha costruito una presenza militare nel sud così ramificata da essere ormai praticamente impossibile da estirpare. Mentre Hezbollah cresceva, Unifil perdeva terreno e gli attacchi contro le sue pattuglie aumentavano: alla fine del 2022 un peacekeeper irlandese della missione è stato ucciso nel villaggio di al Aqbieh, nel sud del Libano. Il sostegno ai caschi blu è diventato scarso e ci sono quartieri di villaggi e cittadine vicino al confine con Israele che prima i militari stranieri in servizio per le Nazioni Uniti pattugliavano e dove ora non riescono più a mettere piede di notte. E il coordinamento con Israele è diventato molto limitato perché lo Stato ebraico si fida poco della missione.

 

Ieri mattina i jet israeliani hanno bombardato obiettivi militari nel sud del Libano mentre il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, era a Beirut per incontrare i leader locali di Hamas e del Jihad islamico. E mentre, non lontano, si tenevano i funerali di Farah Omar e Rabih Al Maamari, due giornalisti di Al Mayadeen – la televisione–portavoce di Hezbollah e amica del regime siriano – morti sotto i colpi israeliani mentre lavoravano. 

 

Quando è stato formalizzato l’annuncio che da questa mattina Israele fermerà i bombardamenti su Gaza e le donne e i bambini tra gli ostaggi trascinati dentro la Striscia da Hamas cominceranno a uscire poco alla volta, alcuni portavoce delle milizie sciite in Libano, in Iraq e in Yemen, e alcuni propagandisti molto vicini a Teheran, hanno fatto sapere che “finché Israele rispetterà il cessate il fuoco” anche i gruppi amici di Hamas nella regione si comporteranno seguendo l’esempio dell’alleato palestinese. Secondo gli analisti sia il governo israeliano sia il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, stanno cercando di evitare un’altra guerra in Libano. Ma con provocazioni e scambi di fuoco continui non è possibile scongiurare completamente questa ipotesi e la lettera di Eli Cohen al Consiglio di sicurezza suona come un modo di mettere le mani avanti.

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