il dialogo con pechino

Von der Leyen è l'elemento di realismo nelle cordialità fra Biden e Xi

Giulia Pompili

In California il leader cinese è apparso accomodante su tutto – nonostante la conferma dell'etichetta "dittatore" da parte del presidente americano. Von der Leyen a Berlino dice: il rapporto tra Pechino e Mosca definisce le nostre relazioni con il gigante asiatico 

Era la notte del 24 ottobre scorso quando un B-52 dell’Aeronautica militare americana, che stava sorvolando le acque internazionali del Mar cinese meridionale, si è trovato all’improvviso di fronte uno Shenyang J-11 cinese, caccia bimotore molto più veloce e leggero del bombardiere strategico americano. Il jet cinese ha fatto delle manovre di disturbo intenzionali: è andato sopra all’aereo americano, poi dietro, poi di nuovo gli è precipitato davanti, fino ad arrivare a una distanza di soli tre metri. I piloti dell’aviazione dell’Esercito popolare di liberazione non sono nuovi a questo genere di attività, eseguite per bullismo: avvengono di continuo contro aerei americani e dei suoi alleati, per lo più nell’area del Mar cinese meridionale, che la Repubblica popolare cinese rivendica come proprio territorio pur non avendone diritto. 

 


La riapertura delle comunicazioni militari ad alto livello tra America e Cina, annunciata ieri dopo il bilaterale tra il presidente americano Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping,  è una delle notizie più importanti arrivate ieri da San Francisco. Perché le scaramucce provocate dalle attività militari cinesi sono un problema, ma lo sono ancora di più se non c’è una linea di comunicazione diretta e immediata tra le due capitali, i due governi, che devono evitare gli incidenti che si trasformino in conflitti. Fino all’altro ieri era Washington a chiedere a Pechino a ogni occasione la riapertura del canale di dialogo militare, e la risposta era sempre: no. E invece ieri il leader Xi è apparso accomodante su tutto, anche sul cerimoniale – e nella ritualità asiatica è quanto mai importante. Ha riso, ha scherzato, ha passeggiato con Biden e anche alla cena di gala con i rappresentanti del business tra i due paesi la sua figura è sembrata molto diversa dall’ingessato leader che vuole sfidare l’ordine del mondo. E questo nonostante Biden l’abbia implicitamente di nuovo definito “dittatore”, rispondendo a una domanda in conferenza stampa (“è un dittatore nel senso che è un uomo che gestisce un paese comunista con una forma di governo totalmente diversa dalla nostra”, ha detto Biden, filologico).  

 


 Secondo Vivian Wang e David Pierson del New York Times, l’atteggiamento cordiale e aperto di Xi  è servito a mostrare al mondo che la Cina vuole davvero molto dialogare con gli Stati Uniti, ma allo stesso tempo il leader  “vuole anche dimostrare al popolo cinese di aver difeso con forza gli interessi di Pechino e di averne rafforzato l’immagine di potenza mondiale al pari degli Stati Uniti e non di potenza secondaria che fa concessioni”. E infatti c’è una sola cosa su cui è stato molto chiaro, Xi Jinping, cioè la sua unica, gigantesca linea rossa: Taiwan, che diventerà ufficialmente parte del territorio cinese, e non verrà accettata alcuna interferenza dall’esterno.

 


Durante il suo discorso alla cena di gala, Xi ha poi mostrato le carte di quel che interessa di più alla Cina in questa fase, al di là di Taiwan: il business. La colpa è dei media, ha detto Xi, che fraintendono, ma noi “non dobbiamo alzare barriere o creare un effetto di raffreddamento”. Un timing perfetto perché poche ore dopo è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a rispondere in qualche modo al messaggio ottimista che voleva mandare il leader cinese. In un discorso molto atteso al centro studi tedesco Merics, sotto sanzioni da parte di Pechino, e alla vigilia del suo viaggio nella capitale cinese per l’Ue-Cina Summit, Von der Leyen ha detto che l’indagine sulle sovvenzioni statali cinesi sui veicoli elettrici andrà avanti. Ha detto che l’Unione sta facendo passi avanti sul de-risking, e che “è aperta alla concorrenza, ma non a una corsa al ribasso”. Se nei comunicati finali di Biden e Xi non c’è stato alcun riferimento alle posizioni rispettive riguardo alle crisi globali, dall’Ucraina al medio oriente, è stata la presidente dell’Ue a sottolineare la questione, l’elefante nella stanza: “Il modo in cui la Cina si posizionerà sulla Russia definirà le nostre relazioni reciproche negli anni a venire”, ha detto Von der Leyen, e che “la posizione assertiva della Cina contro Taiwan, nel Mar cinese meridionale e orientale, non riguarda solo i nostri partner, ma ha un effetto sulla nostra posizione e sulle nostre economie globali, sulle nostre catene di approvvigionamento”. Ci riguarda, e non basta un bilaterale cordiale per cancellarlo. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.