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tra i repubblicani

L'America first nella politica estera del Gop. L'unica degna avversaria dell'isolazionismo è Haley

 Giulio Silvano

“Chi oggi abbandona l’Ucraina rischia domani di abbandonare Israele”, dice l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite e candidata alle primarie. Rappresenta una visione alternativa rispetto a quella di Trump. La sola che cerca di recuperare la dottrina di George W. Bush

Se la guerra civile dentro al Partito repubblicano ha i suoi effetti immediati nella politica interna, come abbiamo visto nella faticosa elezione di uno speaker, la linea di divisone più profonda la vediamo nella politica estera. L’abbiamo visto con l’Ucraina dove i trumpiani alla Camera hanno cercato in ogni modo di bloccare gli aiuti a Kyiv proposti dai democratici. L’ex speaker Kevin McCarthy è stato cacciato dall’alt-right per aver cercato di trovare un accordo con i democratici proprio sugli aiuti a Kyiv. A fine settembre 117 deputati repubblicani, la maggioranza del Partito, hanno votato contro una proposta di legge per destinare 300 milioni all’addestramento ed equipaggiamento di combattenti ucraini. 

Una vittoria repubblicana nel 2024 spaventa Volodymyr Zelensky, e l’Unione europea, perché non si sa quale dottrina politica potrà essere messa in atto. Falchi o America first? Se dovesse vincere Donald Trump la risposta è ovvia: isolazionismo. 

Ora con Israele la situazione è più complicata, ma si sente anche qui l’eco dell’America first. Il trumpismo, proprio negli affari esteri, mostra le sue debolezze, e la sua attrazione verso l’antidemocrazia. America first vuol dire soprattutto lasciare che gli altri, le potenze guidate da autocrati, o i gruppi terroristici pieni di odio razziale, possano fare quello che vogliano. E’  una forma passiva di legittimazione degli aggressori. Trump, se non leader, è ancora la guida ideologica del Gop in virtù dei suoi numeri nei sondaggi alle primarie, e l’11 ottobre aveva detto che “Hezbollah è molto intelligente”. Di recente ha elogiato, come fa spesso, il presidente ungherese Viktor Orbán, chiamandolo però “il presidente della Turchia”. E si sa quanto sia fan, almeno nei metodi di comando, del presidente russo Vladimir Putin. Ha anche detto che l’Ungheria ha un confine con la Russia. Ma a prescindere dalle conoscenze elementari di geopolitica, e di geografia, espresse nei comizi, spaventa il modo in cui anche su Israele l’ex presidente potrebbe influenzare il Partito. 

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Trump ha criticato Benjamin Netanyahu per essere stato poco preparato. Non è più in buoni rapporti con il primo ministro israeliano perché non ha riconosciuto le sue fantasie autocratiche, non riconoscendo che sarebbe stato lui il vero vincitore contro Biden nel 2020. Trump ha anche detto che se fosse alla Casa Bianca l’attacco di Hamas non sarebbe mai avvenuto. Ora i suoi fedelissimi al Congresso non sanno bene se applicare America first anche a Israele o no, e in che modo, dato che il filosionismo è storicamente uno dei temi identitari dei repubblicani. Il nuovo speaker, Mike Johnson, ha annunciato su Fox News  che separerà il pacchetto di aiuti per Israele da quello per l’Ucraina. La deputata iper trumpiana Marjorie Taylor Greene ha detto che tanto non voterà nessuno dei due, che bisogna concentrarsi sui “nostri confini” e sugli immigrati che arrivano da sud. 

Ma nel Gop l’isolazionismo trumpiano sta trovando un degno avversario in Nikki Haley. L’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite è candidata alle primarie, dove sta sorpassando il governatore della Florida Ron DeSantis – un altro isolazionista sulla questione ucraina – raggiungendo il secondo posto. Hailey appare da sempre la più esperta sulla politica estera, ma soprattutto quella che cerca di recuperare la dottrina di George W. Bush e di applicarla al presente. “L’America non potrà mai essere neutrale quando si parla di bene e male”, ha detto Haley sul palco della Republican Jewish Coalition, evento degli ebrei conservatori. “Dobbiamo sempre scegliere. E aiuta il nostro interesse nazionale quando scegliamo il bene. Questo principio ora è più importante che mai, ma non si applica solo a Israele”. Anche la terminologia è quella bushiana. Ha anche detto che “chi oggi abbandona l’Ucraina rischia domani di abbandonare Israele”. All’evento era presente anche l’ex vicepresidente Mike Pence, per quattro anni a fianco di Trump, che ha usato il palco anche per terminare la sua corsa alle primarie (ha finito i soldi). Ha detto però una frase da cui i NeverTrump del Gop potrebbero ripartire contro l’ideologia America first: “Chiunque dica che l’America non può risolvere i propri problemi interni e allo stesso tempo essere il leader del mondo libero, ha una visione piuttosto ridotta della grande nazione che siamo”.

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