I granchi blu e il nodo Expo

Perché Mattarella vola a Seul

Giulia Pompili

La Corea del sud non è più un’esotica tappa di passaggio. Il significato della visita del presidente della Repubblica il prossimo 7 novembre

Tra poco più di una settimana, il 7 novembre prossimo, il presidente della Repubblica volerà in Corea del sud, per una delle visite di stato più attese dal paese asiatico. L’occasione è il 140esimo anniversario delle relazioni bilaterali, e la prima e unica volta in cui un presidente italiano era andato a Seul a incontrare il suo omologo sudcoreano correva l’anno 2009.  

Era Giorgio Napolitano, all’epoca, ad aver fatto tappa in Corea del sud prima di andare in Giappone. Quattordici anni dopo, però, il mondo è completamente diverso. Il paese asiatico, tredicesima economia del mondo, è diventato un partner cruciale per gli equilibri dell’occidente, e non è più il lontanissimo paese un po’ esotico con un confine particolarmente pericoloso. Il soft power sudcoreano, fatto di film, serie tv e musica, nel giro di pochi anni ha contribuito alla costruzione di una identità del paese precisa, riconoscibile anche in Europa, che è stata sfruttata dal presidente Yoon Suk-yeol per rafforzare anche i legami economici e politici della Corea del sud con l’occidente. La Corea del sud sta diventando strategica sempre di più perché ha la tecnologia (è tra i più grandi produttori di microchip e semiconduttori al mondo), ha gli armamenti (con la Polonia ha fatto un accordo da 13,7 miliardi di dollari un anno fa), e soprattutto ha il desiderio di diventare un player globale. 


Sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, Seul ha aderito alle sanzioni occidentali contro Mosca, e Yoon ha fatto una visita a sorpresa a Kyiv a luglio durante la quale ha promesso più aiuti militari, ma non letali, all’Ucraina (anche se il sostegno indiretto sudcoreano è avvenuto lo stesso: con la vendita di armi alla Polonia e le donazioni di quest’ultimo paese alla difesa ucraina). Yoon ha intensificato anche la collaborazione della Corea del sud con la Nato su diversi settori. Ed è capace di colpi di genio diplomatici non di poco conto: questa estate, mentre in Italia sui giornali si parlava molto della minaccia del granchio blu per l’ecosistema marittimo italiano, la Corea del sud si era detta disponibile a risolvere il problema. La Corea del sud è il primo consumatore al mondo di granchi pro capite, con 1.904 chili di granchio consumati ogni mille persone. 
Va da sé che la visita di Mattarella – che dopo Seul andrà in Uzbekistan  – non è più soltanto una tappa di un viaggio in Asia orientale, come si faceva un tempo, ma la vera destinazione della missione quirinalizia. Erano anni che a Seul si auspicava una presenza più assidua di rappresentanti istituzionali italiani, e non a caso ieri i giornali sudcoreani riportavano tutti la notizia del viaggio di Mattarella.  

 


Per il presidente sudcoreano Yoon è già un successo diplomatico. Alla vigilia della presidenza di turno italiana al G7, il rafforzamento delle relazioni con Roma serve a Seul per fare lobby e convincere il governo italiano a invitare la Corea del sud come paese ospite del vertice pugliese – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni punta tutto sul Mediterraneo, e non si sa ancora se ci sarà spazio per un altro paese dell’Indo-Pacifico. C’è solo un nodo da risolvere, a livello politico: Busan, come Roma, è candidata all’Expo 2030 – la terza candidata è Riad, che sta lavorando alacremente per ottenere consensi internazionali. Corea del sud e Italia, due paesi molto simili per geografia, popolazione e pil, si contendono insomma la sede di un’esposizione universale da posizioni diverse: Busan ha qualche chance in meno di Roma sulla carta, perché l’Expo precedente, quella che si terrà nel 2025, sarà a Osaka, in Giappone, quindi in Asia orientale. Il governo sudcoreano sta cercando di compensare la posizione di svantaggio con una lobby intensa, che coinvolge anche i suoi colossi economici come Samsung e Lg (e viaggi istituzionali: rappresentanti del governo coreano e i dirigenti d’azienda, per promuovere la candidatura di Busan, hanno fatto 16 milioni di chilometri, ha detto il primo ministro Han Duck-soo). Forse non a caso, tre giorni fa il presidente Yoon era proprio a Riad, in Arabia Saudita: ieri il JoongAng Daily scriveva che “secondo molti osservatori la gara finale sarà probabilmente una battaglia a due tra Busan e Riad”, e secondo quando dichiarato dall’ambasciatore coreano in Italia Lee Seong-ho durante un’audizione al Parlamento di Seul, ci sarebbe stata una valutazione interna “dell’Italia a spingere Roma al terzo posto” – dichiarazione smentita dai funzionari italiani sentiti dal Foglio. Anzi: si vota tra un mese esatto, il 28 novembre prossimo, e in realtà – lobby e propaganda a parte – la partita è ancora apertissima. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.