Il piano di Yair Lapid per far ripartire Israele

Micol Flammini

Il politico non è entrato nel governo, ma raccoglie pomodori e segna gli otto punti da seguire per ricominciare a vivere e che partono dalla storia della sua famiglia. È la comunità la forza della nazione, proprio come nei kibbutz

I missili che ieri sono stati lanciati contro Israele hanno ricordato a tutti i cittadini che Hamas va avanti e ha reso la Striscia di Gaza un pericolo costante, incessante. Unità è la parola d’ordine, e tutti sono chiamati, nonostante le differenze, a ignorare le crepe. Gli israeliani lo hanno fatto subito, la politica ci ha messo un po’ di più. Yair Lapid è uno dei leader più importanti dell’opposizione israeliana, dopo l’attacco di Hamas era stato invitato dal premier Benjamin Netanyahu a entrare nel governo. Lapid ha trascorso gli ultimi anni della sua carriera politica a cercare di affermarsi come alternativa a Netanyahu, a opporsi ai partiti di estrema destra con cui il premier ha formato l’ultima sgangherata maggioranza, accettare l’invito a unirsi a tutti i suoi rivali politici deve essergli sembrato insincero e rischioso. Non l’ha pensata così l’altro oppositore di Netanyahu, Benny Gantz, l’ex ministro della Difesa che invece è entrato nel governo e ha chiesto scusa a tutti i cittadini per quanto accaduto il 7 ottobre. Netanyahu, Gantz e Lapid sono le tre facce della politica israeliana, e il lavoro di tutti e tre sarà analizzato in ogni dettaglio quando Israele, passata la crisi, cercherà le colpe. 

  
Dopo giorni di silenzio, Lapid ha capito che questi non sono i giorni dell’opposizione in Israele e ha cercato il modo di essere utile al governo pur non facendone parte. A guardare i sondaggi, Israele, che finora ha sempre continuato a votare il Likud di Netanyahu come primo partito, è alla ricerca di un nuovo leader, cerca risolutori e Lapid si è sempre confermato un tessitore, molto abile a creare alleanze, a trovare punti in comune e  programmi fatti di compromessi e obiettivi. Dopo aver preso la decisione di rimanere fuori dal governo, ha capito che però in questo momento Israele ha bisogno di collaborazione. Ha stilato un piano in otto punti per riavviare il sistema istituzionale: “Non siamo qui per criticare, ma per aiutare”, ha detto Lapid. Secondo il leader di Yesh Atid, il governo non è ancora tornato in sé, ha bisogno di una guida per prestare aiuto agli sfollati, alle famiglie degli ostaggi, ai sopravvissuti, ai riservisti e ai loro parenti. La prima cosa da fare, ha detto il politico, è migliorare la comunicazione, nominare un portavoce che aggiorni quotidianamente gli israeliani. Per gli sfollati, tutti coloro che sono stati portati via dal confine con la Striscia e con il Libano per ragioni di sicurezza hanno bisogno di un programma di assistenza dettagliato. Le imprese hanno bisogno di rassicurazioni economiche. Le famiglie degli ostaggi, ma anche quelle dei riservisti e i riservisti stessi, hanno bisogno invece di supporto psicologico. E’ un paese intero in stato di necessità, in cui è facile che l’attivismo di un politico venga preso per campagna elettorale anticipata, e la decisione di Lapid di rimanere all’esterno e dare consigli non è immune alle critiche. 


Lapid è un giornalista poi arrivato alla politica, ricalcando la stessa parabola di suo padre, che ha descritto come un sopravvissuto all’Olocausto che ha sempre portato dietro il peso del dolore, ma con una passione intensa per la vita e la panna montata. Lapid ha perso sua sorella Michal quando era ragazzo e ha raccontato che dopo quell’incidente la sua vita è cambiata, si è fermata, è ricominciata completamente diversa, e per suo padre deve essere stato lo stesso. Quando a sua figlia invece è stato diagnosticato l’autismo, ha sentito la vita fermarsi ancora una volta, poi è ricominciata, totalmente diversa. Il 7 ottobre è il momento in cui la vita si è fermata per tutta Israele, e per chi è ricominciata, sta ricominciando, è stravolta, diversa, c’è tutta una nuova israelianità da ricostruire a partire da quel giorno: “Sarebbe un insulto per il nostro popolo se nei prossimi anni non costruissimo un mondo migliore di prima. Questa è la missione della nostra vita”. Nel frattempo Lapid si è messo a fare quello che c’è da fare, si è messo a raccogliere i pomodori perché manca chi li raccolga, si è messo a portarli al mercato, perché manca chi  li porti. Dice che Israele funziona come una comunità, come un grande kibbutz. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.