Quanto è vicina la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita? Più vicina che mai, sembra

Paola Peduzzi

La conversazione tra il presidente americano e quello israeliano si è concentrata su quel progetto che sottotraccia va avanti da molto tempo e che sarebbe sostanzialmente il coronamento degli Accordi di Abramo. Il nodo della "significativa componente palestinese"

“Ho una patologia chiamata ottimismo irlandese, un ossimoro – ha detto il presidente americano Joe Biden al premier israeliano Benjamin Netanyahu – Ma se noi due ci fossimo incontrati dieci anni fa e ci fossimo messi a parlare di normalizzazione con l’Arabia Saudita, credo che ci saremmo guardati pensando: ‘Che cosa ci siamo bevuti?’”. “Buon whiskey irlandese”, ha detto rapido Netanyahu, sorridendo.
Questo scambio di battute dà il senso dell’incontro tra Biden e Netanyahu a margine dell’Assemblea generale dell’Onu: cordiale e costruttivo. E’ da 265 giorni che il premier israeliano aspetta di essere ricevuto dal presidente americano, non accadeva un’anticamera così astiosa e prolungata dal 1964, ricorda Barak Ravid su Axios. L’incontro all’hotel Intercontinental di New York è iniziato malino: Biden si è fatto attendere per trenta minuti, ma poi appena arrivato ha subito detto di fronte ai giornalisti che aspetta Netanyahu alla Casa Bianca entro l’anno, che era quello che si aspettava il premier israeliano, ed è stato tutto più rilassato.

 

La conversazione a porte chiuse, secondo fonti israeliane, si è svolta più secondo i codici di due vecchi amici che quelli formali della diplomazia (Biden e Netanyahu si conoscono da quarant’anni), il presidente americano ha fatto presente che non condivide i metodi con cui il governo israeliano gestisce la riforma della giustizia e più in generale l’esercizio del proprio potere, il premier israeliano ha ascoltato ma se queste critiche avranno qualche effetto concreto è difficile dirlo. Anche perché al centro dell’incontro non c’era la situazione interna a Israele, che pure ha contribuito ad allungare i tempi dell’anticamera, ma la normalizzazione dei rapporti tra l’Arabia Saudita e Israele, un progetto che sottotraccia va avanti da molto tempo e che sarebbe sostanzialmente il coronamento degli Accordi di Abramo introdotti dall’Amministrazione Trump. Con questi accordi, Israele ha riaperto i contatti – e molto altro – con parecchi paesi della regione mediorientale e del Nord Africa, ma da sempre l’obiettivo finale era quello di coinvolgere Riad, senza la quale ogni normalizzazione non si può dire né completa né stabile. Un funzionario israeliano ha detto che Netanyahu è uscito dall’incontro molto più ottimista rispetto all’accordo con l’Arabia Saudita: “Non è una cosa fatta e ci sono ancora molte variabili che possono cambiare, ma direi che le probabilità che si faccia è superiore al 50 per cento”, ha detto il funzionario. Anche il re saudita, Mohammed bin Salman, nella sua prima intervista a un’emittente americana (Fox News) dal 2019, ha detto: “Ogni giorno ci avviciniamo di più” all’accordo. La prospettiva della normalizzazione dei rapporti non è insomma mai sembrata tanto conquistabile.

 

Si tratta come si sa di una questione particolarmente complessa. Biden e Netanyahu – e anche bin Salman pubblicamente – si sono concentrati sulla condizione posta da Riad e anche in parte da Washington: che nell’accordo ci sia “una significativa componente palestinese” (c’è già ovviamente l’acronimo: Scp). Netanyahu ha detto che è d’accordo sul fatto che ci sia un coinvolgimento palestinese, ma non vuole che questo si traduca in un diritto di vero. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha inviato una lista delle proprie condizioni all’Arabia Saudita – che comprendono delle concessioni da parte di Israele in Cisgiordania e il riconoscimento dello stato palestinese  – ma già il fatto che esista questo documento firmato da Abu Mazen mostra un cambiamento anche nell’approccio palestinese: fino all’anno scorso, l’Anp era stata molto critica con i paesi che avevano sottoscritto gli Accordi di Abramo, ora sembra più pragmatica. Hussein al Sheikh, il consigliere di Abu Mazen che guida le consultazioni con Riad, incontra regolarmente anche i diplomatici americani: ci sono molti spigoli da smussare, anche perché si sta parlando di “un mega accordo” di normalizzazione che ha moltissime implicazioni, ma sembra che sia stata individuata una direzione comune. Circola parecchio tra i diplomatici riuniti al Palazzo di vetro un sondaggio condotto ad agosto dal Washington Institute (su richiesta, inviano la metodologia adottata per la rilevazione) in cui si dice che un terzo degli imprenditori sauditi vorrebbe già fare affari con Israele pure se non ci sono ancora legami formali. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi