I rimpasti di governo in Giappone e Corea. E pure in Cina

Giulia Pompili

Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, cambia quasi tutti i suoi ministri perché "dal cambiamento trae forza". Il presidente coreano Yoon ne cambia tre, compreso quello della Difesa. La Cina ne fa sparire due

Settembre, tempo di rimpasti. Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, terminati gli incontri istituzionali legati all’anno di presidenza del G7, ha cambiato praticamente tutto il suo governo: su diciannove ministri, ha scelto undici nuovi nomi che si daranno il cambio anche in alcuni ruoli chiave – smentendo le speculazioni di un rimpasto che avrebbe interessato soltanto pochi ministri. In una interessante mossa politica, usata di frequente nelle democrazie asiatiche, Kishida ha spiegato la sua decisione dicendo: “Questo gabinetto è un gabinetto che trae forza dal cambiamento”. Dentro ci sono un numero record di cinque nuove donne, compresa l’ex ministra della Giustizia, Yoko Kamikawa, che diventa ministra degli Esteri al posto di Yoshimasa Hayashi. Kishida vuole dare un nuovo volto al suo governo in vista delle possibili elezioni anticipate che pare convocherà presto per rafforzare il suo mandato governativo, ma soprattutto ha voluto ribilanciare il potere tra le sei fazioni di cui è composto il Partito liberal democratico al potere, in vista delle elezioni per la nuova leadership che ci saranno l’anno prossimo. Kishida ha deciso di cambiare anche il suo ministro della Difesa,  Yasukazu Hamada: a sostituirlo arriva Minoru Kihara, 54 anni, che ha fatto parte del comitato per la Sicurezza nazionale del partito, al suo primo incarico in un esecutivo. 

 


Anche in Corea del sud, il governo di Yoon Suk-yeol ieri ha cambiato tre ministri ufficialmente per rinnovare la sua immagine: Difesa, Cultura e Pari opportunità. Shin Won-sik sarà il nuovo ministro della Difesa, un dicastero particolarmente strategico oggi che la Corea vuole diventare il quarto esportatore al mondo di armamenti ed essere più presente sulla scena internazionale, e sostituisce il ministro Lee Jong-sup, che si stava per dimettere dopo essere stato accusato da media e opposizione di aver manipolato le indagini sulla morte di un soldato che prestava soccorso nelle zone alluvionate a fine luglio. 

 


E poi c’è la Repubblica popolare cinese, dove per la seconda volta nel giro di pochi mesi un ministro non si trova più. Li Shangfu, ministro della Difesa di Xi Jinping e l’uomo chiave del programma missilistico di Pechino, non appare in pubblico da più di due settimane e si susseguono le voci di una sua possibile rimozione. Proprio com’è successo a Qin Gang, il ministro degli Esteri cinese misteriosamente scomparso qualche mese fa, poi ufficialmente rimosso, e di cui nessuno sa più nulla. Come nulla fosse, ai summit internazionali è tornato ad apparire il vecchio capo della diplomazia Wang Yi. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.