il reportage
La resistenza a Kyiv è fatta di decisioni famigliari di chi dice: Putin non scandirà la mia vita
Mariti, mogli, figli. Nessuno in Ucraina può permettersi di impazzire. Il vertice delle first lady e dei first gentleman di Olena Zelenska
Kyiv, dalla nostra inviata. Olena Zelenska ha tenuto ieri il terzo vertice delle first lady e dei first gentleman, un’iniziativa che aveva lanciato nel 2021 per costruire un progetto globale e condiviso per il “benessere” delle società. Nel giardino attorno alla cattedrale di Santa Sofia a Kyiv già da qualche giorno sono stati montati i palchetti per il vertice, mentre nella piazza di fronte c’è il memoriale per i soldati caduti nella guerra in corso, i nomi, le storie, le fotografie – la convivenza tra vita e morte che è l’Ucraina di oggi. Zelenska ha parlato con la Bbc prima del vertice, ha detto che vuole un marito al suo fianco “non un personaggio storico” e così ha sintetizzato il sentimento delle mogli ucraine, che sanno che i loro mariti saranno chiamati dall’esercito per andare al fronte, sanno che è giusto, sanno che il loro è un impegno esistenziale che coinvolge tutti e non ci si può tirare indietro, e allo stesso tempo non vogliono un eroe da compiangere, vogliono il compagno di vita che si sono scelte.
I mariti aspettano la lettera dell’arruolamento, se non è oggi è domani, arriverà: hai paura? Mi sono abituato all’idea. Ogni decisione famigliare dipende dalla guerra, fare un figlio o non farlo, organizzare un viaggio, prendere un’offerta di lavoro all’estero, consigliare tuo figlio che sta diventando maggiorenne e quindi arruolabile, vai all’estero ti prego, no bisogna combattere. Nessuno vuole farsi scandire la vita da Vladimir Putin e a volte decidere di metterlo comunque al mondo, un figlio, anche se il marito potrebbe partire da un momento all’altro è un’altra forma di resistenza. Ma lo è anche aspettare: fintanto che fai tutto il possibile per difendere l’Ucraina, nel modo più utile, il giudizio sulle decisioni personali di ognuno è sospeso. In questo paese così fiero e determinato non c’è spazio per moralismi inutili, l’unica cosa che conta è l’impegno. “Siamo diventati tutti fatalisti”, dice Amin con un sorriso, ma non c’è rassegnazione nella sua voce. E’ un modo di vivere e di sopravvivere, “se ci abbandonano gli alleati dovremo continuare, anche se restassimo da soli dovremmo continuare perché in gioco c’è l’esistenza dell’Ucraina” e se non vuoi impazzire devi diventare un pochino fatalista, accettare l’imprevisto del destino, senza cedere all’eccessiva passività perché resistere implica che devi restare combattivo. Anna dice che la vita di una coppia in guerra è “un continuo combinarsi di cose”, la vita e la morte che si intrecciano, la voglia di leggerezza e l’impegno continuo e “modesto” (se ti compri il divano nuovo non ti fai selfie sui social), informarsi in modo vorace ma non andare a vedere al cinema “20 giorni a Mariupol”, il famoso film sull’assedio girato dai giornalisti dell’Ap, “perché non mi sento pronta e perché non sono sicura di aver bisogno di vedere quei dettagli crudeli per sapere cosa sta accadendo”. E’ la ricerca continua di un equilibrio.
Zelenska ha dedicato il suo vertice alla salute mentale perché nessuno in Ucraina può permettersi di impazzire. Amin dice che una terapia serve a tutti, con la morte e con l’ansia si può certo imparare a convivere, ma non è una lezione emotivamente a costo zero. Riguarda tutti, i soldati che tornano, le loro famiglie se non tornano, ma anche tutti i civili che hanno dovuto prendere dimestichezza con il lutto, con la tortura, con l’intimidazione o con l’idea dell’amico fatto prigioniero dai russi. Nella vita quotidiana ognuno cerca e spesso trova il proprio equilibrio, ma questo continuo accavallarsi di sentimenti, “rabbia, speranza, disillusione, coraggio”, come dice Anna, ha bisogno di un punto di caduta: nessuno chiede una risposta alla domanda che aleggia sulla città, quando finisce?, ma strumenti per rimanere calmi sì. Ognuno poi si trova il suo, Anna legge i libri che le piacevano da adolescente perché la rassicurano, suo marito va a vedere “20 giorni a Mariupol” perché la crudeltà dei russi gli dà coraggio. Ci sono sempre più corsi per gli uomini che dovranno andare al fronte, quelli che non si aspettavano che la guerra sarebbe arrivata fino a qui: ti aiutano ad accettare il fatto che finisce la vita da civile e ne inizia un’altra in cui l’equilibrio che hai conservato finora, in casa e fuori, non servirà più. Un’altra combinazione da trovare in questo processo di adattamento imposto dalla Russia nel cuore dell’Europa.
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