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Elezioni

La campagna elettorale taiwanese ci riguarda da vicino. Chi sono i candidati

Stefano Pelaggi

Nonostante l'assenza di dialogo politico con la Repubblica popolare cinese, i media stanno descrivendo la competizione presidenziale nell’isola di Taiwan solo tramite il “fattore Cina” e dividendo il dibattito in pro Pechino e pro-indipendenza

Taiwan è diventata un elemento centrale per gli equilibri globali, l’isola è oggi il terreno di scontro aperto nella contesa egemonica tra Washington e Pechino. La questione taiwanese rappresenta la soglia critica della contesa strategica, ossia l’elemento che potrebbe generare una instabilità regionale e globale. Spesso Taiwan viene descritta esclusivamente all’interno della dicotomia Washington-Pechino, dimenticando invece che  è una nazione abitata da 23 milioni di persone, in cui le istituzioni hanno il totale controllo del territorio e dei confini nazionali. I taiwanesi hanno mostrato di avere le idee chiare rispetto al futuro del proprio paese: ogni percorso di cooperazione politica e istituzionale con la Repubblica popolare cinese viene immancabilmente escluso dai programmi dei diversi partiti politici mentre nessun attore della società civile dell’isola sostiene la necessità di rafforzare i legami con Pechino. Soprattutto Taiwan è una democrazia, nelle classifiche che registrano gli indici delle società civili occupa stabilmente la prima posizione tra i paesi asiatici, e i destini dell’isola – e degli equilibri geostrategici globali – è saldamente in mano agli elettori taiwanesi. 

Le elezioni presidenziali taiwanesi di gennaio 2024 giocheranno un ruolo decisivo per il futuro della stabilità regionale, ogni cambiamento nell’equilibro dello Stretto è storicamente avvenuto a seguito di una dinamica interna dell’isola. Il minimo comune denominatore per le piattaforme elettorali dei diversi partiti a Taiwan è incentrato sulla difesa dello status quo: il dialogo politico con la Repubblica popolare cinese è praticamente assente da tutte le piattaforme elettorali. I media stanno invece descrivendo la competizione presidenziale nell’isola esclusivamente attraverso il “fattore Cina”, ossia dividendo gli schieramenti tra pro Pechino e pro-indipendenza con il Democratic Progressive Party (DPP), il partito della presidente Tsai a rappresentare la deriva anticinese e il Kuomintang (KMT) chiamato a ricoprire il ruolo pro Pechino. 

Il candidato del DPP William Lai, attualmente vicepresidente del paese, sta tentando di presentarsi come un moderato, minimizzando la tendenza pro-indipendenza del passato mente cerca di evidenziare una continuità con la presidente Tsai. Il KMT, dopo aver governato il paese dalla fine del secondo Dopoguerra alla fine degli anni Ottanta con un regime autoritario fieramente contrapposto alla Cina comunista, è diventato, dopo il processo di democratizzazione negli anni Novanta, il principale interlocutore di Pechino nella politica taiwanese. La scelta di Hou Yu-ih come candidato del KMT per le presidenziali del 2024 non sembra essere stata delle più felici, i sondaggi registrano una scarsa presa di Huo sull’elettorato taiwanese e un distacco sempre più deciso nei confronti di Lai. In realtà sia il DPP sia il KMT hanno esplicitamente dichiarato di voler difendere lo status quo e la politica taiwanese sembra lontana dalla ricerca di una cooperazione più stretta con la Cina. Una dinamica ben nota nei palazzi del potere di Pechino, e infatti al Congresso  del Partito comunista cinese del dicembre 2022 per la prima volta dagli anni Settanta non è stata fatta alcuna menzione alla società dell’isola e alla ricerca di un percorso comune. Le parole di Xi Jinping sono state dirette e minacciose: un chiaro segnale della presa di coscienza a Pechino dell’impossibilità di una posizione pro-Cina nella politica taiwanese. 

L’incognita delle consultazioni elettorali di gennaio potrebbe arrivare dal terzo candidato, l’ex sindaco della capitale Taipei, Ko Wen-je e il suo Taiwan People’s Party. Ko sta guadagni numerosi consensi, soprattutto tra gli elettori del Kuomintang delusi dalla scelta di Huo, e potrebbe scardinare il bipartitismo che  sino a oggi ha governato la scena politica taiwanese. Una eventuale vittoria di Ko Wen-je alla presidenza sarebbe uno sconvolgimento degli equilibri del paese, in particolare alla luce dell’impossibilità del Taiwan People’s Party di conquistare la maggioranza parlamentare. Una presidenza senza il controllo del Parlamento sarebbe un elemento di instabilità e in questo momento nessuno degli attori coinvolti, Washington e Pechino inclusi, desiderano una leadership precaria a Taiwan. Un cambiamento nel governo di Taiwan costringerebbe Pechino a tentare di modificare l’approccio nei confronti di Taipei, una scelta condizionata dalla spinta del nazionalismo cinese sulla questione taiwanese ma anche dal progressivo accentramento del potere in atto in Cina. Ogni deviazione dall’instabile equilibrio attuale – definito da compromessi semantici, regole non scritte, coercizione militare e interdipendenza economica – potrebbe modificare in maniera irreversibile le relazioni nello Stretto, e conseguentemente gli equilibri geostrategici globali.

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