15 agosto 2021: Il collasso di Kabul

Le afghane infilano gli esercizi di matematica in mezzo al Corano

Tutte le ragazze nell'ombra dopo due anni di talebani

Cecilia Sala

Il grande reset talebano vuole “purificare” il paese ma ha delle falle. Le scuole segrete e i giornalisti che si arrabattano

Il 13 agosto di tre anni fa Fawzia Koofi era in ospedale, era appena sopravvissuta a un altro tentativo dei talebani di ucciderla, era ferita ma lucida e aveva detto: “I talebani dovrebbero sapere che un vetro rotto, come me, è più affilato”. Koofi è nata femmina nell’Afghanistan di quarant’anni fa, quindi ha avuto una vita pericolosa. Suo padre, un parlamentare con tante mogli, aveva dato un ultimatum a una di loro, la madre di Fawzia: meglio per te che, questa volta, quello che porti in grembo sia un maschio. Non era un maschio, così Fawzia Koofi fu abbandonata appena nata su una pietra, sotto il sole, in mezzo al deserto. Da allora, sopravvivere agli uomini che odiano le donne è diventata un’abitudine forzata. 

Dopo averla ritrovata, sua madre l’aveva protetta e Fawzia, da bambina, era riuscita a convincerla a mandarla a scuola – è stata l’unica delle sue moltissime sorelle a farlo. La dottoressa Koofi, che poi si è laureata in Economia in Afghanistan, che poi è stata la prima e l’unica vice presidente donna del parlamento, che ha trovato un posto in classe a novecento bambine dei villaggi rurali praticamente andando a prenderle una a una, che ha dedicato la sua vita da adulta alle ragazze d’Afghanistan, con il suo lavoro è stata responsabile per buona parte di un dato: nel 2001, con il primo emirato talebano, le donne in procinto di laurearsi erano cinquemila; nel 2021, erano più che quintuplicate: 103 mila. Oggi sono zero.

Almeno “zero” è il dato ufficiale, perché il divieto allo studio per le donne – nel nuovo emirato che da due anni esatti porta avanti una campagna che definisce “di purificazione” dalle deviazioni inculcate in vent’anni di presenza straniera – è assoluto. Con lo stesso obiettivo le donne sono state fatte sparire dai parchi pubblici, da tutti i film di cui è autorizzata la proiezione nel paese, dalle palestre, dai notiziari, dai giornali, dai cartelloni pubblicitari, dalle sale operatorie o dai furgoncini che trasportano gli aiuti umanitari e li distribuiscono in giro per le trentaquattro province afghane – compresi quelli delle Nazioni Unite, che hanno accettato di relegare  in casa, in smart working,  tutte le proprie dipendenti pur di continuare a operare nel nuovo Afghanistan. In questo grande reset talebano però ci sono ancora delle falle, nell’ombra   esistono le scuole coraniche femminili con gli esercizi di matematica nascosti dentro il libro sacro e un faticosissimo tentativo di far continuare la vita nonostante praticamente ogni gesto delle ragazze fuori dalle mura domestiche sia proibito.

Da quando i fondamentalisti hanno conquistato il palazzo presidenziale e il potere a Ferragosto del 2021, ottenere la licenza per aprire una madrassa è diventato molto più semplice: da allora esiste un movimento segreto e silenzioso di insegnanti veri che fanno lezioni vere in finte scuole religiose nonostante i pericoli. Una maestra delle elementari  ventottenne, Sediqa Merzayee, ha raccontato che, dopo aver fatto una  lezione clandestina alle sue studentesse che hanno tra i cinque e i dieci anni, un talebano ha chiamato suo padre per dirgli che se fosse capitato un’altra volta Sediqa, per punizione, sarebbe stata data in sposa  a un combattente del movimento. Una giornalista afghana che vuole rimanere anonima per proteggere se stessa e il suo nuovo lavoro, dice al Foglio che, da quando non può più fare la conduttrice del notiziario, fa la maestra a domicilio per ragazze adolescenti rimaste chiuse fuori dai licei. In Afghanistan ci sono estetiste e parrucchiere a cui i talebani hanno chiuso i saloni di bellezza che fanno lo stesso con le proprie clienti: il taglio, la tinta, la manicure in casa. Ci sono quasi-dottoresse a cui è stato impedito di laurearsi che curano pazienti in segreto, che aiutano le ragazze che partoriscono in casa: per salvare loro la vita e impedire che le morti di parto tornino a essere un numero catastrofico come lo erano nel 2001 (più del triplo che nei vent’anni successivi), e anche per dare un senso alla propria fatica, agli anni spesi sui libri di Anatomia, alle proprie ambizioni. Ci sono giovani uomini che sposano le loro amiche perché senza un marito non si può fare quasi niente, neppure allontanarsi per più di settanta chilometri da casa o aprire un conto in banca, ma sono unioni fittizie e i finti mariti non chiedono in cambio il sesso, il bucato o il pranzo.

“Ci sono speranze, competenze, sogni, consuetudini che sono state messe in moto e ora si adattano per sopravvivere”, dice il marito giornalista dell’ex conduttrice che oggi è un’insegnante clandestina, anche lui vuole rimanere anonimo. Secondo i dati di Reporter senza frontiere, i due terzi dei  giornalisti afghani hanno dovuto cambiare mestiere o  scappare negli ultimi due anni. “Ma anche noi ‘sopravvissuti’ ci siamo ingegnati in qualche modo, per dare le notizie senza finire in carcere un minuto dopo abbiamo inventato degli stratagemmi. Uno molto in voga è annunciare un fatto dicendo innanzitutto che il governo lo smentisce, per poi proseguire con un lungo articolo o servizio televisivo in cui raccontiamo nei minimi dettagli quell’evento che il governo vorrebbe nascondere. Teoricamente siamo inattaccabili, abbiamo riportato la versione delle autorità (che hanno introdotto una nuova regola secondo cui criticarle è un reato), ma abbiamo anche raccontato per filo e per segno cosa è successo davvero, e questo qualsiasi afghana o afghano  lo ha  capito”.
 

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