Il voto in Spagna

Sánchez costringe Feijóo a un quasi pareggio (e a un gran rompicapo per formare il governo)

Guido De Franceschi

Ai popolari di Feijóo, primo partito, non basterebbe nemmeno l'alleanza con Vox (andato malissimo) per avere la maggioranza. I socialisti del premier Sánchez escono con un risultato migliore dell'ultima volta, ma anche loro senza maggioranza. Due scenari: si rivota o alleanze innaturali

La notte elettorale spagnola ha riservato alcune sorprese. All’inizio, pochi minuti dopo la chiusura dei seggi, i sondaggi realizzati “a bordo voto” e divulgabili solo a urne chiuse avevano confermato le previsioni della vigilia: una vittoria del Partito popolare (Pp) di centrodestra di Alberto Núñez Feijóo che sarebbe stato però costretto a un accordo con Vox, il partito sovranista guidato da Santiago Abascal e alleato con i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, per avere una maggioranza sufficiente a varare un governo. Fin da subito si era anche visto che i socialisti del premier uscente, Pedro Sánchez, stavano comunque tenendo botta dignitosamente. E che si stava invece profilando come piuttosto scarsa la performance degli “altri” due partiti di un certo rilievo e cioè l’estrema destra di Vox e la piattaforma “larga” della sinistra radicale Sumar, guidata dalla vicepremier Yolanda Díaz.

Durante la prima metà dello spoglio dei voti “veri”, però, sono iniziate le sorprese, con il Psoe che veleggiava in testa come numero di seggi e la coalizione di sinistra che teneva il passo della coppia di fatto formata dal Pp e da Vox. La seconda metà dello spoglio ha un po’ riequilibrato la situazione, ma ha comunque lasciato il Pp a qualche lunghezza da una maggioranza possibile (anche in combinata con Vox) e ha corroborato il Psoe di Sánchez con un risultato sopra le aspettative.

In sintesi numerica: il Pp di Feijóo ha fatto un salto in avanti impetuoso rispetto alle ultime politiche del 2019: aveva 89 seggi e questa volta ne ha ottenuti 136. Ma anche per il Psoe che di seggi ne aveva 120 e ora ne avrà 122 (grazie a quasi mezzo milione di voti in più ricevuti in questa tornata) è comunque un gran risultato, se sia considera che, fino alla vigilia del voto, tutti i sondaggi avevano inchiodato Sánchez al destino del loser. E, se il risultato di Sumar è senz’altro modesto (le varie sigle che sono confluite in questa piattaforma unitaria nel 2019 avevano ottenuto complessivamente 38 seggi e questa volta ne avranno 31), quello di Vox è decisamente più deludente (da 52 seggi a 33), soprattutto se si considera che negli ultimi mesi, in Spagna e altrove, del partito di Abascal si era discusso fino alla noia.

Di fatto è quasi un pareggio. Anche se, quando c’è un vincitore molto annunciato (Feijóo), per questo vincitore annunciato un quasi pareggio è una mezza sconfitta. Ma, in questo caso, è soprattutto un rompicapo. Perché nessuno sarà disposto a fare mezzo passo indietro. Non lo farà Feijóo, che ha garantito al suo partito un innegabile balzo avanti. Non lo farà Sánchez che, se non ha realizzato il sogno di una remuntada, ha realizzato qualcosa che ci somiglia molto. Non lo farà Abascal: la sostanziale sconfitta di Vox e la sua centralità numerica renderanno vitale per i sovranisti la pretesa di un ruolo governativo per non rischiare un declino irreversibile di visibilità. E allora? E allora, in assenza di una maggioranza Pp-Vox e in assenza di una maggioranza per la coalizione di governo uscente nemmeno con il concorso di quei partiti minori che, quando necessario, avevano appoggiato il governo, si possono per ora immaginare solo due strade: o una ripetizione del voto (una soluzione che avvantaggerebbe Sánchez il quale, galvanizzato dall’inversione dei pronostici, potrebbe perfezionare la rimonta) oppure l’impensabile. E, con questa formula, si intende un eventuale accordo delle destre con il Partito nazionalista basco (5 seggi) e/o con Junts (7 seggi), ovvero con un partito (il primo) che Vox minacciava di voler mettere al bando per sospetto secessionismo e un altro partito (il secondo) guidato da un secessionista dichiarato, Carles Puigdemont, che da anni fugge per l’Europa inseguito da mandati di cattura per aver capeggiato le istanze indipendentiste catalane e che da allora la destra spagnola chiama senza remore “golpista”.

Si tratta quasi di fantasie. Ma in un mondo precedente il Partito nazionalista basco e Convergència i Unió, il movimento da cui proviene Junts, hanno sempre fatto molti patti imprevedibili con la destra “madrileña”. E in un mondo eterno, e cioè quello dei centristi (Junts) e dei democristiani (il Partito nazionalista basco), ogni accordo è possibile. Dipende da che cosa si riceve in cambio e da quanto questo possa servire nel contesto dei regolamenti di conti interni (con gli indipendentisti di Bildu nel caso del Partito nazionalista basco, su nel Nord, e con Esquerra repubblicana nel caso di Junts, in Catalogna).