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cosa cambia nell'alleanza atlantica

I nuovi piani di difesa della Nato sono una garanzia esistenziale per Estonia, Lituania e Lettonia

David Carretta

Secondo i vecchi piani i paesi baltici sarebbero stati lasciati a loro stessi a resistere in attesa dell’arrivo del grosso delle forze alleate. “Ora siamo in grado di difenderci insieme ai nostri alleati dal primo momento e dal primo centimetro”, ha detto il premier estone, Kaja Kallas

Bruxelles. Se l’attenzione era tutta sull’Ucraina, il vertice della Nato a Vilnius ha preso una decisione destinata a concretizzare lo slogan che il segretario generale, Jens Stoltenberg, continua a ripetere dall’inizio della guerra di aggressione della Russia: “Difenderemo ogni centimetro del territorio dell’Alleanza”. Per quanto possa apparire assurdo, dalla fine della Guerra fredda i piani della Nato per una guerra convenzionale non prevedevano di difendere tutti i suoi stati membri allo stesso modo. Finora la postura dell’Alleanza si basava sulla deterrenza per scoraggiare attacchi da parte della Russia, non sulla difesa attiva immediata. In caso di attacco, i tre paesi baltici sarebbero stati travolti dalle forze russe. Secondo i vecchi piani, Lituania, Lettonia ed Estonia sarebbero state lasciate a sé stesse a resistere, con qualche migliaio di soldati della Nato, in attesa dell’arrivo del grosso delle forze alleate. Solo in una fase successiva, Vilnius, Riga e Tallinn sarebbero state liberate, ma con tempistiche lunghe (servono settimane o mesi per mobilitare centinaia di migliaia di uomini e il materiale) e nessuna certezza di risultato. Con i nuovi piani di difesa della Nato, invece, “siamo in grado di difenderci insieme ai nostri alleati dal primo momento e dal primo centimetro”, ha detto il premier dell’Estonia, Kaja Kallas, in un’intervista a Radio Free Europe. La differenza è esistenziale per i baltici, ma anche per gli alleati, quando si tratta di inviare soldati a morire per Tallinn.

I “piani di difesa regionali di nuova generazione” della Nato coprono tre macroaree geografiche: il nord dell’Alleanza attorno all’Atlantico, il centro dal Baltico alle Alpi e il sud-est dal Mediterraneo al Mar Nero. Ciascuno avrà il suo comando (Norfolk negli Stati Uniti, Brunssum nei Paesi Bassi e Napoli in Italia) e opererà con forze aeree, di terra, marittime, spaziali e cyber. I vecchi piani di difesa prevedevano di mobilitare circa 40 mila soldati sotto il comando supremo alleato in Europa. Il nuovo modello di forza della Nato include fino a 300 mila soldati, di cui 100 mila possono essere dispiegati in dieci giorni e altri 200 mila in trenta giorni. In caso di necessità, le forze Nato potranno salire a 500 mila soldati in tre mesi. Il fianco orientale è il più esposto alla Russia. Di qui la decisione di preposizionare migliaia di truppe in più nei paesi baltici, in Polonia e in Romania. Agli uomini si aggiunge il materiale: “Una potenza aerea e navale sostanziale”, ha assicurato Stoltenberg.

I piani su carta “sono una cosa, l’esecuzione è un’altra”, ha spiegato la premier estone Kallas. Oltre ai soldati è necessario preposizionare armi e munizioni. “Le truppe europee devono essere pronte al combattimento” e gli stati membri della Nato devono “investire di più”, ha detto Kallas. L’obiettivo del due per cento di pil alla difesa non è una fissazione militarista. Nel 2023 solo undici dei trentuno stati membri della Nato dovrebbero arrivare o superare la soglia. “Servirà tempo per mettere in pratica i nuovi piani regionali di difesa”, spiega al Foglio una fonte dell’Alleanza. L’Ucraina, che con la sua resistenza tiene impegnata la Russia e degrada le sue forze, sta permettendo alla Nato di conquistare il tempo necessario a prepararsi a una guerra ad alta intensità sul suo territorio. Sono i soldati ucraini a morire per evitare a quelli Nato di dover difendere Tallinn. Sotto questa prospettiva si comprende meglio la rabbia dell’Ucraina per non aver ricevuto un invito a entrare nell’Alleanza a guerra finita.

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