l'altro esercito

Le milizie cinesi in Africa non sono come la Wagner, ma quasi

Giulia Pompili

Una ventina operano all'estero, settemila dentro ai confini cinesi. Aziende come la Beijing DeWe Security Service, che ha duemila uomini in Kenya, la Huaxin Zhong An Security Group e la China Security Technology Group hanno l’obbligo di essere disarmate. Un equilibrio instabile

Per proteggere gli investimenti cinesi all’estero, soprattutto con l’espansione del progetto strategico infrastrutturale e d’influenza politica chiamato Via della seta, da una decina di anni Pechino ricorre spesso a compagnie militari o di sicurezza private. Eppure, dopo le vicende legate alla compagnia Wagner in Russia, guidata da Evgeni Prigozhin, qualcuno ha iniziato a interrogarsi sul potere che le milizie non convenzionali, non direttamente inserite nel sistema di controllo militare, potrebbero avere. Nei giorni scorsi diversi analisti e accademici cinesi, interrogati sui media di Pechino,  sottolineavano proprio questo punto: Yu Sui, professore al think tank China Center for Contemporary World Studies legato alla Via della seta, ha detto al China Daily che “il conflitto tra mercenari ed esercito russo è solo la punta dell’iceberg delle contraddizioni insite nella società russa”. Lo strapotere consegnato dalla leadership di Putin ai mercenari della Wagner ha creato un Frankenstein pronto a ribellarsi contro il suo creatore, è la riflessione più frequente tra gli accademici cinesi. Il modello cinese di utilizzo delle compagnie private di sicurezza, soprattutto all’estero, nasce dalla stessa necessità di Putin – quella di controllare gli interessi strategici cinesi nelle aree di investimento, soprattutto in Africa, in America latina e nel sud-est asiatico – ma finalità e metodi sono diversi.  

L’obiettivo principale delle compagnie di sicurezza cinesi presenti, per esempio, nei paesi africani, è quello di “fornire supporto alla sicurezza delle imprese di stato cinesi nella regione, avvalendosi di paramilitari e milizie locali. In altre parole, il loro obiettivo primario è quello di rafforzare le strutture economiche della regione piuttosto che condurre operazioni militari come il gruppo Wagner”, hanno scritto sul Diplomat qualche giorno fa i ricercatori Jong Min Lee e Samuel Wittman.  Il 19 marzo scorso nove cittadini cinesi sono stati uccisi durante un attacco contro i lavoratori di una miniera d’oro nella Repubblica centrafricana, e l’episodio ha riaperto il dibattito sulla sicurezza dei lavoratori cinesi all’estero e in zone di crisi – una delle missioni fondamentali propagandate dal Partito comunista cinese è quella di tenere al sicuro i propri cittadini ovunque. Gli attacchi contro i cittadini cinesi sono sempre più frequenti e questo ha fatto aumentare la presenza di compagnie di sicurezza cinesi nei luoghi d’interesse. Ma Pechino ha imparato molto dal modello russo e da quello occidentale: la legge cinese vieta, per esempio, l’esistenza di compagnie militari private ed è riuscita a tenere le compagnie di sicurezza private tutt’altro che private. Paul Nantulya, uno dei massimi esperti di cooperazione per la sicurezza tra paesi africani e Cina, ha detto a fine marzo a Voa: “Il 99 per cento degli appaltatori di sicurezza in Cina sono ex soldati dell’Esercito popolare di liberazione, anche ex forze speciali ed ex poliziotti paramilitari. C’è controllo, le leggi in Cina sono molto chiare: lo stato deve avere una partecipazione in tutte le imprese di sicurezza”.

 

Aziende come la Beijing DeWe Security Service, che ha duemila uomini in Kenya, la Huaxin Zhong An Security Group e la China Security Technology Group, hanno l’obbligo di essere disarmate, e questo rende necessario l’intervento di forze dell’ordine locali in caso di crisi e la cooperazione. A questo però si unisce il rafforzamento delle collaborazioni in ambito di forze dell’ordine e intelligence che Pechino promuove soprattutto con i paesi più fragili dal punto di vista economico e di sicurezza: “Tra il 2018 e il 2021, oltre duemila poliziotti e personale delle forze dell’ordine africane hanno ricevuto la loro formazione in Cina”, si legge in un recente studio di Nantulya. Secondo diversi osservatori, la vicenda della Wagner in Russia aumenterà il controllo di Pechino sulle sue milizie, e sui rapporti dei suoi contractor con le milizie locali. Secondo uno studio del Merics, ci sono circa settemila compagnie private di sicurezza che operano all’interno della Cina e più o meno una ventina che operano all’estero: “L’ampio uso che la Cina fa delle compagnie a livello nazionale suggerisce che molte più risorse di questo tipo potrebbero essere impiegate in un contesto internazionale, aiutando la Cina a proiettare il potere oltre i suoi confini”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.