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In Europa

I popolari austriaci aprono le porte del Ppe a Meloni. I calcoli tedeschi

Daniel Mosseri

Fratelli d'Italia nel gruppo dei popolari? "L’Övp è assolutamente a favore", ci dice il deputato austriaco Engelberg. "Ma ci sono ancora delle resistenze e per le elezioni europee c’è ancora tempo”

“Sì, certamente”. “Forse sì”. Oppure solo “forse”. Indagare fra le capitali d’Europa sulla sistemazione a Strasburgo dei deputati di Fratelli d’Italia (FdI) nella prossima eurolegislatura è un’attività che fornisce frutti limitati. La delegazione di FdI siederà nello stesso gruppo dei colleghi del Partito popolare europeo (Ppe) oppure subito al loro fianco? Le risposte sono sempre un po’ vaghe ma nessuno sembra escludere a priori rapporti più intensi fra il Ppe e il partito di Giorgia Meloni. Alla guida del governo italiano da otto mesi scarsi la presidente del Consiglio rappresenta un po’ un mistero per chi la osserva da fuori. Il deputato del Partito popolare austriaco (Övp) vede nel futuro di FdI molta più Bruxelles e molta meno Visegrad. “L’Övp è assolutamente a favore (di un avvicinamento fra il partito di Meloni e i popolari europei, ndr) e ne ha parlato al proprio interno. Lo stesso cancelliere Karl Nehammer e la ministra per gli Affari europei, Karoline Edtstadler, sono assolutamente favorevoli”, risponde Engelberg non senza entusiasmo. Ma i giochi non sono fatti, osserva ancora il numero due della commissione Affari europei al Consiglio nazionale (la camera bassa) a Vienna: “Se noi siamo a favore, nel Ppe ci sono ancora delle resistenze e d’altronde – conclude – per le elezioni europee c’è ancora tempo”. 

La massima prudenza si impone: una regola non scritta vuole che le istituzioni europee restino solidamente appoggiate su due pilastri immutabili: il Ppe e il Pse. Nel momento in cui il primo aprisse al Partito dei conservatori e dei riformisti europei – una formazione-ombrello che va dagli italiani di FdI al PiS polacco passando per gli spagnoli di Vox – o ne cooptasse una parte, questo equilibrio verrebbe meno. Spostare le pedine sulla scacchiera di Strasburgo non è un gioco facile: quando a giugno del 2014 l’ex premier britannico David Cameron aprì il gruppo dei conservatori ai tedeschi di AfD, l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel non la prese per nulla bene e finì per appoggiare alla guida della Commissione il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che Cameron avrebbe invece voluto tenere lontano. Anche all’interno dei gruppi è richiesto un certo codice di condotta: così, lo stesso Ecr sbattè AfD fuori dalla porta ad aprile del 2016 dopo che il partito tedesco suggerì di usare le pistole contro i profughi intenzionati a entrare in Germania. Ecco perché la sezione austriaca del Ppe non ha problemi con il partito di Meloni: secondo tutti i sondaggi, i sovranisti del controverso Partito della Libertà (Fpö) vinceranno le elezioni in programma in Austria al più tardi nell’autunno del 2024. I popolari austriaci, che non escludono di tornare al governo con l’ultradestra, non hanno dunque alcuna difficoltà a sdoganare FdI, partito dal contegno molto più moderato del Fpö, che peraltro a Strasburgo siede nel gruppo Identità e Democrazia accanto alla Lega e ai francesi del Rassemblement national. E il Ppe che ne pensa? Interrogati dal Foglio, un paio di eurodeputati del gruppo preferiscono soprassedere. Non risponderanno mai? “Sí, forse”, ma non oggi. Le elezioni europee sono ancora lontane, Meloni è ancora in rodaggio – ma certo la sua posizione atlantica e non euroscettica è molto apprezzata – e poi bisogna ancora stabilire se è il Ppe che fa la corte a Giorgia o viceversa.

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