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La Turchia al ballottaggio: i voti di Ogan e dei nazionalisti saranno decisivi

Claudia Cavaliere

Il quarto candidato ha ottenuto il 5,2 per cento di consensi. "Penso che negozierà e sosterrà il presidente uscente: è una questione di quanto Erdogan deve cedere per aver quel supporto", ci dice il professore della Saint Lawrence University Howard Eissenstat

Istanbul. Se i curdi al primo turno dovevano essere quelli che avrebbero deciso il destino delle elezioni del 14 maggio in Turchia, il risultato elettorale ha mostrato che coloro i quali determineranno il ballottaggio tra due settimane saranno i nazionalisti. Mentre da una parte Muharrem Ince ha abbandonato la corsa presidenziale a quattro giorni dal voto lasciando che i suoi consensi venissero per la maggior parte recuperati dall’opposizione di Kemal Kiliçdaroglu, il quarto candidato, il nazionalista Sinan Ogan, ha con sorpresa ottenuto il 5,2 per cento pari a 2,8 milioni di voti che sono rintracciabili in piccole percentuali in ogni distretto turco. Volere una Turchia forte, sviluppata e un riferimento nella regione è un sentimento condiviso da tutti i cittadini, le differenze sono nel modo in cui implementare le politiche che portano a quel risultato, ma di base il paese ha scritta nel proprio dna una forte componente conservatrice. Già le coalizioni del presidente uscente Recep Tayyip Erdogan e quella di Kiliçdaroglu inglobavano i nazionalisti: nell’alleanza del primo si tratta di quelli religiosi e opposti ai curdi del Mhp che hanno ottenuto il 10 per cento, facendo meglio delle aspettative, appoggiati dai sostenitori delusi dalle politiche su economia, lotta alla corruzione e gestione del governo del partito Akp del presidente. Per l’opposizione si tratta dei nazionalisti kemalisti e laici che hanno preso il 9,75 per cento dei consensi; quelli di Ogan sono, invece, l’estrema destra ultra laica e ultra conservatrice, esempio di un partito politico di estrema destra di stampo europeo in Turchia, il cui programma principale è quello di colpire e respingere gli immigrati: si oppongono al Pkk, vogliono i siriani fuori dalla Turchia, chiedono politiche più stringenti sull’accesso al paese. Tutti e tre insieme i gruppi contano da soli il 25 per cento del voto popolare turco, tanto quanto il partito Chp di cui Kiliçdaroglu è il volto: il clima di opposizione all’immigrazione e alla presenza dei rifugiati nel paese è molto forte e non riguarda più solo i siriani che sono fuggiti da una patria in guerra, ma anche gli afghani dopo la presa dei talebani del paese il 15 agosto 2021, gli iraniani che abbandonano il regime, per citare solo alcuni casi. “L’impatto dei rifugiati è una delle ragioni per cui la tendenza nazionalista è ancora aumentata negli anni e la presenza dei siriani è uno dei maggiori cambiamenti demografici della storia recente della Turchia, che non ha storicamente una forte tradizione di accoglienza dei migranti. La decisione di Erdogan di aprire loro le porte è stata impopolare e qualcosa che ha fatto sì che il paese cambiasse in qualche modo l’immagine che aveva di sé e questo aiuta a spiegare come mai questa frangia nazionalista si sia intensificata così tanto”, ha commentato al Foglio Howard Eissenstat, professore associato di Storia dell’area Mena della Saint Lawrence University.

In Europa una crisi economica può far disamorare di un governo e farlo cadere, in un paese come la Turchia è l’identità, la questione della sicurezza a far pesare di più il piatto della bilancia e far chiudere le persone intorno a quella più forte che pensano possa salvarli. “Tra questi nazionalismi, Ogan è quello che enfatizza cose su cui tutti concordano. E’ come se lui in realtà non avesse corso alla presidenza, è stato solo un altro nazionalista. Penso che il suo fosse un voto di protesta su due lati: punire Erdogan per le politiche economiche adottate e per aver aperto ai siriani e Kiliçdaroglu per aver voluto i curdi. Alla fine penso che lui negozierà e che sosterrà il presidente uscente: è una questione di quanto Erdogan deve cedere per aver quel supporto. L’opposizione voleva disperatamente vincere al primo turno perché sapeva che in un ballottaggio si sarebbe trovata in svantaggio”, ha aggiunto Eissenstat. Considerando che le roccaforti del Mediterraneo dell’opposizione e quelle dell’Anatolia e del Mar Nero di Erdogan sono state confermate, questo risultato spiega tre cose: l’elezione per Erdogan è stata la più difficile tra tutte quelle che ha affrontato e mostra un calo nei consensi che nel 2028 era al 52 per cento, che la campagna dell’opposizione è finita peggio di quanto atteso e che il vento del cambiamento è stato forte ma non trascinante e, infine, che i voti dei nazionalisti di Ogan si orienteranno verso il partito con cui condivide meno linee rosse. Infatti, in una intervista esclusiva di Der Spiegel subito dopo le elezioni, ha detto: “Sosterrò Kiliçdaroglu solo se il partito curdo Hdp sarà escluso dal sistema politico”. Ma l’opposizione ha bisogno di entrambi per vincere.