Cosa cambia per l'Ucraina se Erdogan non sarà più presidente

Micol Flammini

Lo sfidante del presidente turco si è concentrato sui temi interni e ci si aspettano pochi cambiamenti nel rapporto con Mosca. Ma c’è un timore: che da un’ostentata neutralità la Turchia passi la disimpegno

Roma. Volodymyr Zelensky arriva oggi a Roma anche per incontrare quello che per Kyiv rappresenta un possibile mediatore, il Papa. Lunedì, invece, l’inviato speciale nominato dalla Cina per parlare con Ucraina e Russia, l’ex ambasciatore a Mosca decorato da Vladimir Putin, Li Hui, sarà a Kyiv. Domenica in Turchia ci sarà l’elezione non soltanto più importante dell’anno, come l’ha definita l’Economist, ma che riguarda anche il futuro della guerra. Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a mettere Ucraina e Russia attorno allo stesso tavolo, ma è riuscito a far firmare ai due paesi due trattati separati per lo sblocco dei porti ucraini sul Mar Nero, in cui per circa cinque mesi dall’inizio della guerra sono rimasti fermi  i mercantili carichi di grano. 

 

In base agli accordi firmati ad Ankara, controllori russi e ucraini collaborano nel comando congiunto che vigila sui controlli. Finora è il risultato più grande che una mediazione abbia portato, Erdogan ci ha messo la firma assieme alle Nazioni Unite,  tessendo  insieme gli interessi di tutti, inclusi i suoi. Il presidente turco rifornisce Kyiv degli importantissimi droni Bayraktar, ai quali l’esercito ucraino ha  dedicato una canzone e numerosi balletti, e continua a mantenere rapporti economici con Mosca, che non dedica balletti, ma punta su Ankara per ristrutturare il  suo mercato energetico e rivoluzionare i rapporti in medio oriente. Dall’inizio della guerra Erdogan ha parlato spesso con Putin e non sempre a ogni contatto con il presidente russo è corrisposta una telefonata con Zelensky. Sicuramente Mosca ha fatto pressione su Ankara per smettere di rifornire Kyiv di droni e, secondo indiscrezioni, avrebbe anche chiesto i Bayraktar, ma Erdogan non ha acconsentito. Nelle elezioni Mosca preferisce la conservazione al cambiamento, nonostante il principale sfidante di Erdogan, Kemal Kiliçdaroglu abbia detto in modo chiaro che non intende cambiare i rapporti con la Russia. Giovedì  Kiliçdaroglu ha accusato Mosca di ingerenze nelle elezioni turche, ha scritto un tweet in russo per chiedere ai “cari amici russi” di non intromettersi negli affari dello stato turco, “se volete la nostra amicizia dopo il 15 maggio”. E ha aggiunto: “Siamo sempre favorevoli alla cooperazione e all’amicizia”. 

 

Le posizioni di Kiliçdaroglu sulla Russia sono chiare, non ci sarebbero molti cambiamenti nei rapporti con la Russia, il leader dell’opposizione ha detto di volersi riavvicinare agli alleati occidentali, ma in questo momento aumentare la collaborazione con la Nato e cooperare con Mosca sono due cose antitetiche. La Turchia non partecipa alle sanzioni contro il Cremlino e anzi potrebbe far parte della lista dei paesi che aiutano la Russia ad aggirarle e gli Stati Uniti e l’Unione europea, per maggior collaborazione intendono anche prendere parte alle azioni per limitare la capacità di Mosca di portare avanti al conflitto. La campagna di Kiliçdaroglu è stata molto chiara dal punto di vista interno, molto meno sul piano internazionale e l’Ucraina infatti non ha fatto sapere, né percepire, se sia per il cambiamento o per la conservazione ad Ankara. Non ci sono state telefonate da parte di Kiliçdaroglu a Zelensky, non ci sono state dichiarazioni forti, né condanne. Il leader dell’opposizione ha preferito non toccare l’argomento  e, secondo alcuni osservatori, potrebbe anche sfilarsi lentamente dagli impegni internazionali che invece, per cinismo e utilità, Erdogan aveva mantenuto.  

 

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il presidente Zelensky ha fatto appello ad alcuni paesi che pensava potessero mediare. Ha cercato contatti con la Cina, che si è fatta sentire in modo ambiguo soltanto ora. Ha cercato l’intervento di Israele, che ha mandato aiuti  all’Ucraina ma non ha posto le basi per una mediazione. Ha chiesto l’intervento della Turchia, che nel suo modo pragmatico di intendere la politica internazionale, ha risposto subito. Con Kiliçdaroglu è difficile che la neutralità turca cambierà. Ma c’è un danno che l’Ucraina teme: una Turchia un po’ più disinteressata al mondo e concentrata su se stessa. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.