Luigi d'Urso, il dandy fuori tempo, raccontato da sua figlia

Mauro Zanon

Mercante d’arte e uomo d’affari dall’eleganza antica con un male che lo divorava. In "Même le bruit de la nuit a changé" (Flammarion) il racconto di Violette

Parigi. Luigi era diverso dagli altri papà che aspettavano i loro bambini fuori da scuola vestiti in jeans e scarpe da ginnastica: era sempre impeccabile nel suo abito sartoriale, con il suo accento chic e le sue camicie bianche Charvet. Ma dietro quell’eleganza e quella sprezzatura da gentiluomo italiano d’altri tempi si nascondeva una malinconia profonda. Luigi era Luigi d’Urso, il padre che Violette d’Urso ha perso quando aveva appena sei anni, che ha cercato ovunque durante la sua vita e a cui ha dedicato il suo primo romanzo Même le bruit de la nuit a changé (Flammarion), “Anche il rumore della notte è cambiato”.

 

Ho sempre voluto scrivere su mio padre, ma a un certo momento ho percepito un sentimento d’urgenza. E quando si percepisce questo sentimento bisogna scrivere. Questo romanzo si è imposto come una necessità”, dice al Foglio Violette d’Urso, prima di aggiungere: “Cercando tra le foto d’archivio nella mia camera, ho trovato una lettera che ho scritto a mia madre, ‘Papa n’est pas mort’, e un disegno: la copertina di un libro, ‘Le livre de Violette d’Urso’”. Mercante d’arte, uomo d’affari e arbiter elegantie, Luigi d’Urso, nato a Roma ma di origini napoletane, sposò Inès de la Fressange, egeria di Chanel e icona dello chic parigino, nel 1990. Con lei ebbe due figlie, Nina, oggi ventinovenne, e Violette, appunto, che di anni ne ha ventitré. Dandy, eccentrico, amante degli eccessi, Luigi d’Urso lanciò in Francia la moda dei “mocassins à picots”, i mocassini con gommini.

   

“Ci sono persone che hanno un talento per vivere. Abbelliscono il mondo e gli esseri soltanto con la loro presenza. Luigi era questo tipo di persona”, ha scritto di lui Frédéric Beigbeder, scrittore e compagno di mondanità del padre di Violette negli anni Novanta. Il cuore di Luigi d’Urso ha smesso di battere in una notte di marzo del 2006 sulle scale dell’immobile in cui abitava, a rue Montalivet, nell’ottavo arrondissement. Il suo corpo, forse, non riusciva più a sopportare quel male che lo stava distruggendo: l’eroina. “La scoperta della tossicomania di mio padre è stata uno choc violento”, dice al Foglio Violette d’Urso. Un segreto che la madre ha cercato di mantenere tale il più a lungo possibile. “A suo modo, così facendo, ha preservato me e mia sorella, e ci ha permesso di avere una vita felice. Ha perpetuato qualcosa di molto napoletano, ‘danzando sul vulcano’: c’è stata una tragedia, ma dobbiamo provare a essere felici comunque”.

 

Come Anne, la protagonista del romanzo, Violette ha moltiplicato i suoi viaggi in Italia alla ricerca del padre, per parlare con chi aveva avuto il privilegio di incontrarlo: è andata a Bologna dove ha scoperto le sue vicinanze ai movimenti di estrema sinistra, a Roma, nella sua città natale, a Napoli, tra i sarti che disegnavano i suoi abiti, e a Palermo, “l’unica città in cui dei mendicanti possono vivere nei palazzi”, come le ha detto un giorno una persona, la città di un’aristocrazia del sud in declino, un mondo di eleganza e di raffinatezza di cui suo padre è stato uno degli ultimi rappresentanti. “All’inizio delle mie ricerche si è rivelato un personaggio all’opposto di quello che pensavo di conoscere. Poi, poco a poco, mi sono riappropriata dell’immagine che avevo di lui: combaciava con l’immagine della persona che avevo in testa. Il libro è un insieme di prove che conferma che ciò che sapevo di lui era vero”, racconta  Violette, ricordandosi di quella signora che incontrò a Palermo e le disse: “Fidati di quello che senti e non di quello che dicono gli altri di lui. E’ tuo padre e di nessun altro”.

   

Scrive Anne/Violette: “Mio padre era italiano e la cultura cattolica era sempre stata importante per noi, anche se poco praticata. Amavo l’estetica cristiana, le vetrate, la liturgia, le statue di Maria, i ceri, i canti, le storie sui santi. Ancora oggi, quando la luce attraversa le vetrate dietro l’altare, ho l’impressione che sia penetrata dallo spirito di mio padre e chiudo gli occhi in segno di riconoscenza”.

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