Sulla pelle dei siriani

Il bottino di Putin nelle elezioni turche e nel revival di Assad

Paola Peduzzi

Mosca cerca nuovi punti d’appiglio per costruire l’alleanza anti occidentale. Ecco dove li trova: i rimasugli del realismo europeo si ritrovano sulla pelle dei siriani 

Milano. Quando l’opposizione siriana ha ricordato, all’inizio di marzo, i dieci anni dall’inizio della repressione del regime di Bashar el Assad contro il suo popolo, ha portato nelle sue piazze le bandiere ucraine. Questa solidarietà spontanea, struggente anche, se si pensa a quanto poco sostegno hanno avuto i siriani nella loro lotta contro un’associazione mortifera di dittature – siriana, iraniana, russa – è la sintesi di una resistenza e di un coraggio non misurabili, ma anche della consapevolezza che molti assestamenti post invasione russa dell’Ucraina si stanno facendo sulla pelle dei siriani. Perché la regia è sempre di Vladimir Putin, che ha ottenuto la restaurazione di Assad e che ha mantenuto la Turchia abbastanza vicina da alterare il processo di allargamento della Nato e da coinvolgerla nella costruzione delle sue alleanze. 

 

Se Kemal Kiliçdaroglu dovesse vincere alle elezioni di domenica in Turchia, la sua formula di unità, stato di diritto e ricostruzione economica sarebbe un enorme cambiamento per un popolo governato da un presidente, Recep Tayyip Erdogan, che come linea d’attacco elettorale ha scelto: se non votate me, saranno eletti dei terroristi. Ma Kiliçdaroglu è un convinto sostenitore della “pace”, concetto affatto pacifico quando si ha a che fare con la Russia, e se promette che, una volta eletto, la Svezia entrerebbe nella Nato alla velocità della luce, allo stesso tempo è in linea con il dialogo aperto da Putin tra Ankara e Damasco, che ha molte sfaccettature e incognite, ma un’unica certezza: il rimpatrio dei siriani scappati dal regime Assad (Kiliçdaroglu vuole il rimpatrio obbligatorio).

 

Mentre facciamo roboanti analisi geopolitiche sul significato del grande riallineamento in corso dalla Turchia alla Siria ai paesi della Lega araba, rischiamo di ignorare qual è la merce di scambio di questi repentini posizionamenti: il popolo siriano. I paesi arabi vogliono che Assad si riprenda i rifugiati siriani nei paesi della regione (soprattutto in Libano) così come lo vuole anche la Turchia, che ha fatto da hotspot per tutta l’Europa per molti anni e ben remunerata ma che ora digerisce un avvicinamento al disprezzato regime di Damasco soltanto se in cambio si può liberare dei rifugiati e avere mano libera (questo per Erdogan è decisivo, per Kiliçdaroglu no) nel nord curdo della Siria. La spinta alla riammissione di Assad nei consessi internazionali – fino a pochi mesi fa le sue uniche mete disponibili erano Teheran e Mosca – è stata  determinata proprio dalla questione dei rifugiati, migliaia di persone che si ritroveranno costrette a tornare nel paese da cui erano fuggite che sarà ancora governato dallo stesso dittatore che le aveva costrette alla fuga, con la sua repressione coadiuvata da Mosca. L’Europa non è neutrale in questo schema, anche se preferisce seppellirsi nel silenzio piuttosto che dire qualcosa sulle elezioni turche e sulla riabilitazione di Assad.

 

L’hotspot turco è stato costruito e pagato per evitare che i rifugiati arrivassero in Europa e alimentassero il furore dei partiti nazionalisti che sono cresciuti sventolando lo spauracchio del migrante siriano (e del migrante in generale) e che sono stati grandemente aiutati, ancora una volta, dalla campagna di destabilizzazione orchestrata da Putin. Angela Merkel, la cancelliera tedesca oggi accusata di non aver capito nulla della Russia (anche se non esisteva, prima del 2022, nessun leader occidentale che intravedesse nelle mire espansionistiche di Mosca la possibilità di una guerra genocidiaria come quella in corso in Ucraina), si era giocata buona parte del suo capitale politico nel 2015 accogliendo un milione e mezzo di migranti, soprattutto siriani, e negoziando poi con Erdogan una barriera all’ingresso a protezione del continente. Oggi i siriani in Germania lavorano, studiano, sono integrati, mentre quelli che abbiamo deciso di lasciare alle nostre porte sono merce di scambio per la costruzione di un nuovo sistema di alleanze anti europeo e anti occidente. 

 

Da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, la miopia europea si è  riassorbita e la logica dello status quo sulla pelle dei popoli attaccati da regimi violenti è stata  rimpiazzata da una volontà straordinaria di difesa della libertà. Ma i rimasugli di una stagione in cui la democrazia sembrava un feticcio elitario ci sono ancora e vengono utilizzati da Putin per costruire il suo mondo anti occidentale in cui non contano le regole ma soltanto la legge del più forte. L’impunità di Assad è per lui un trofeo glorioso, e a questo dovremo pensare quando Ankara inizierà il rimpatrio dei siriani: le guerre non finiscono fino a che non si leva la possibilità all’aggressore di tornare ad attaccare, o di vendicarsi.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi