lo scontro

I video di Prigozhin, tra la paura e la furia

Micol Flammini

Il finanziatore della Wagner rende visibile un conflitto militare e politico che arriva fino al Cremlino. Annuncia il ritiro da Bakhmut e dice che è colpa del ministero della Difesa. Ma sullo sfondo c'è la controffensiva di Kyiv

I messaggi al ministero della Difesa russo e quindi al Cremlino non si mandano più tramite i canali ufficiali, ma attraverso dei video dal fronte, circondati da tenebre e sangue. E’ un segnale forte: tra alleati ci si parla direttamente, se si usa un messaggio pubblico qualcosa non funziona. Ieri Evgeni Prigozhin ha pubblicato due video. Nel primo, il  finanziatore delle milizie mercenarie della Wagner  urla alla telecamera, la sua faccia si deforma mentre indica i suoi combattenti morti al fronte: sono tantissimi,  ricoprono tutto il terreno alle spalle di Prigozhin. Corpi, corpi, corpi.  Prigozhin è furioso  come non mai,  cammina tra i cadaveri, li indica, grida contro il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, e contro il capo di stato maggiore, Valeri Gerasimov . Li chiama “stronzi”, “bastardi” – per citare gli epiteti meno forti – e grida che la distesa di corpi è il risultato del loro rifiuto di  armare gli uomini che combattono a Bakhmut: “Questi sono padri di qualcuno e figli di qualcuno”.   Prigozhin paragona le vite dorate e comode di Shoigu e Gerasimov a quelle dei combattenti morti: “Quella feccia che non dà munizioni, bastardi, mangerà i loro resti all’inferno”. Parla schietto e volgare, è notte fonda. 

 

Al  mattino  gira un secondo video, ha la mimetica, l’elmetto in testa, dietro di lui ci sono i suoi uomini. Dice che entro il 10 maggio si ritirerà da Bakhmut, dove ieri è stato colpito un deposito di armi della Wagner e le cose si mettono male: Prigozhin voleva portare Bakhmut al Cremlino per rimarcare la differenza tra i suoi uomini e quelli dell’esercito regolare; gli ucraini invece sono rimasti a difendere Bakhmut, ormai fantasma, anche per stremare i  russi. In un’intervista concessa il 28 aprile, Prigozhin lo aveva anticipato, aveva detto che il ministero della Difesa non gli lasciava altra scelta non concedendogli le munizioni necessarie. Dopo aver pubblicato i video, Prigozhin ha messo per iscritto e diffuso una cronologia dei fallimenti. 

 

I veri rapporti tra Prigozhin e Vladimir Putin non si conoscono; quanto i due parlino, si incontrino, si fidino l’uno dell’altro è affidato alle speculazioni. Finora l’uomo ormai presente ovunque nella guerra ha attaccato ripetutamente e in modo aperto soltanto il ministro della Difesa  Shoigu e il capo di stato maggiore  Gerasimov. Attaccare Putin è ancora un tabù, ma i messaggi di Prigozhin arrivano dritti al Cremlino che affidando a Gerasimov, a gennaio,  il coordinamento della Forze armate in Ucraina ha dimostrato da che parte sta nella disputa tra esercito regolare e irregolare. Mosca ha demansionato o rimosso generali che invece avevano ricevuto le lodi di Prigozhin, come Sergei Surovikin o  Mikhail Mizintsev, che  aveva coordinato l’assedio di Mariupol con una spietata strategia di bombardamenti e fame. Cacciato dall’esercito russo, Mizintsev si è mostrato con le insegne della Wagner: da Shoigu è passato a Prigozhin. 

 

La spaccatura tra il finanziatore della Wagner e il Cremlino è sempre più vistosa ed è proprio Prigozhin a renderla evidente: dopo la notizia dei droni abbattuti sopra alla cupola del Cremlino, mentre gli uomini vicini a Putin invocavano punizioni brutali contro Kyiv, lui minimizzava. Prendere Bakhmut, per la Wagner  voleva dire dare una dimostrazione di superiorità, ma le perdite sono state altissime, la battaglia si è trasformata in una guerra di trincea novecentesca. Nella cronologia dei fallimenti, Prigozhin dice che aveva previsto di conquistare Bakhmut per il 9 maggio, il giorno in cui Mosca celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale, ma non è stato possibile per la mancanza di munizioni. Scrive anche che la richiesta alla Wagner di prendere parte all’invasione  è arrivata il 16 marzo del 2022, lui ha spostato alcuni uomini dall’Africa e il 9 maggio dello scorso anno è arrivata la vittoria a Popasna, “la prima conquista  significativa nel Donbas”. Avverte che dei 45 chilometri quadrati di Bakhmut ne mancano poco più di due da conquistare e lasciando la battaglia nelle mani del ministero della Difesa, si priva il “popolo russo della vittoria”: se davvero si ritirerà, sta già dando la colpa del fallimento a Shoigu.  

 

E’ uno scontro ferino che si consuma mentre Kyiv prepara la controffensiva. Mosca evita il discorso, non ha una strategia. Prigozhin la controffensiva invece sembra averla bene in mente. Quando a novembre Surovikin ritirò i suoi soldati da Kherson per evitare una carneficina prima dell’arrivo della controffensiva di Kyiv, fu proprio il capo della Wagner a lodarlo. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.