Per il “controspionaggio” di Pechino vale tutto. La legge con caratteristiche cinesi

Priscilla Ruggiero

Un report dell'Aspi sulle operazioni di influenza della polizia online “sempre più frequenti, sempre più sofisticate e sempre più efficaci” e gli account  di propaganda contro i dissidenti del Progetto 912 

Roma. “La Cina concede alle autorità maggiori poteri per combattere le spie”:  si intitola  così l’articolo della rivista cinese Caixin sulla nuova legge sul “controspionaggio” approvata dal Comitato permanente del 14esimo Congresso nazionale del popolo mercoledì e che entrerà in vigore dal  primo luglio. 
Dal 2012 il presidente cinese Xi Jinping  ha reso la sicurezza nazionale il mantra della propria leadership  e la revisione e l’ampiamento del concetto di spionaggio sono solo l’ultima stretta sul controllo nella Repubblica popolare cinese. Le modifiche all’emendamento, secondo gli esperti, renderanno ancora più pericoloso il lavoro degli stranieri e delle organizzazioni non governative in Cina, perché ampliano la definizione di spionaggio, includendovi gli attacchi informatici, ma consentendo allo stesso tempo alle autorità cinesi di svolgere attività di controspionaggio, come ottenere l’accesso a dati, apparecchiature elettroniche, informazioni  personali. L’emendamento non definisce ciò che rientra nella sicurezza nazionale o negli interessi della Cina, ma autorizza una maggiore innovazione tecnologica nella battaglia per mantenere i segreti di stato, concentrandosi sul controspionaggio per proteggere l’apparato di sicurezza nazionale. La Cina di Xi sembra  intenzionata a classificare ogni ingerenza straniera come attività di spionaggio, ma si autolegittima per le attività di controspionaggio online in nome della sicurezza nazionale. 

 

Un nuovo report dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), che già si era occupato delle stazioni di polizia cinesi all’estero, si concentra ora sulle operazioni di influenza della “polizia cinese online”. Secondo l’Aspi, la diffusione della disinformazione cinese sulle piattaforme dei social media occidentali negli ultimi anni sarebbe aumentata significativamente: “Queste operazioni sono sempre più frequenti, sempre più sofisticate e sempre più efficaci nel sostenere gli obiettivi strategici del Partito comunista cinese. Si concentrano sull’interruzione delle politiche interne, estere, di sicurezza e di difesa dei paesi stranieri e soprattutto prendono di mira le democrazie”. Sono operazioni volte a  spingere l’opinione pubblica verso posizioni più favorevoli al Pcc e a interferire nei processi decisionali politici di altri paesi, oltre a molestare dissidenti e critici della Repubblica popolare cinese al di fuori dei propri confini. 

 

Il governo americano ha anche identificato un “gruppo di lavoro speciale” con un nome in codice, Progetto  912, in cui avrebbero lavorato   34 membri del ministero della Pubblica sicurezza cinese, accusati dagli Stati Uniti di aver partecipato a una cospirazione della repressione transnazionale che ha preso di mira i residenti statunitensi sui social media. La missione, secondo Washington, sarebbe stata quella di utilizzare profili falsi su Facebook, YouTube e Twitter per promuovere narrazioni favorevoli al Partito comunista cinese, alimentare tensioni sociali e politiche negli Stati Uniti, intimidire i nemici del governo cinese in occidente e indebolire i  dissidenti del Pcc che si sono rifugiati all’estero. Gli obiettivi delle molestie online del Progetto 912 avrebbero riguardato anche uno dei leader studenteschi delle proteste di piazza Tiananmen del 1989 e un virologo scappato dalla Cina dopo lo scoppio della pandemia.

 

I ricercatori dell’Aspi hanno trovato più di 4 mila post su Twitter, Reddit, Facebook, Sina Weibo  e blog e forum online risalenti a  un anno fa con  contenuti identici, che sostenevano come gli Stati Uniti stessero sorvegliando la Cina e altri paesi. I post coincidevano con alcune dichiarazioni del ministero degli Esteri cinese che in quel periodo  criticava con insistenza le attività informatiche degli Stati Uniti. Alcuni degli account trovati a pubblicare contenuti simili su piattaforme cinesi mostravano collegamenti agli uffici di pubblica sicurezza locali, agli uffici delle forze dell’ordine responsabili della polizia e della pubblica sicurezza. Dal primo luglio, con l’entrata in vigore del nuovo emendamento con caratteristiche cinesi, la situazione sembra destinata soltanto a peggiorare, con una Cina sempre più legittimata ad agire online e arrestare in patria “in nome della sicurezza nazionale”.