Il cinismo dei pacifisti e il caso Kara-Murza

Luciano Capone

 

Il dissidente russo, allievo di Nemtsov e amico di McCain, è stato condannto a 25 anni perché contrario alla guerra. Nessuna iniziativa in suo favore in Italia. I nostri pacifisti sono più impegnati a manifestare contro l'Europa e la Nato che a supportare i pacifisti che si oppongono a Putin

Una settimana fa, durante l’ultima udienza del processo per cui ieri è stato condannato a 25 anni di carcere, avrebbe potuto “pentirsi” per ottenere uno sconto di pena. Ma Vladimir Kara-Murza è andato incontro al suo destino rivendicando tutte le sue azioni: “Sono in carcere per le mie idee politiche. Per essermi espresso contro la guerra in Ucraina. Per aver lottato per molti anni contro la dittatura di Vladimir Putin... Non solo non mi pento di tutto questo, ma ne sono orgoglioso. Sono orgoglioso che Boris Nemtsov mi abbia portato in politica. E spero che non si vergogni di me”.

 

Nemtsov non si vergognerebbe affatto, sarebbe orgoglioso di lui. Kara-Murza conobbe il leader liberale russo nel 1999, all’alba del putinismo, quando lui era un giornalista diciannovenne e Nemtsov la speranza di una Russia molto diversa da quella che è ora. Diventò un suo collaboratore fino alla sua morte, la sera del 27 febbraio 2015, quando Nemtsov venne ucciso a Mosca a due passi dal Cremlino, il giorno prima che guidasse una manifestazione per protestare contro la guerra della Russia in Ucraina. Kara-Murza, che ora ha 41 anni e tre figli, da allora ha preso il suo testimone impegnandosi in patria e all’estero per denunciare la corruzione, la repressione e la violazione delle regole democratiche in Russia.

 

Ieri è stato condannato per “diffusione di informazioni false sull’esercito” e “alto tradimento”: nel primo caso per essersi opposto all’invasione dell’Ucraina e aver denunciato i crimini di guerra russi; nel secondo per aver in sostanza detto le stesse cose, cioè condannare la guerra e la persecuzione dei dissidenti da parte del regime, in conferenze internazionali. È questo l’“alto tradimento”, il reato che ha fatto aumentare enormemente la pena: 25 anni di carcere. Così Kara-Murza dovrà stare nelle prigioni russe molti anni di più degli esecutori materiali dell’omicidio di Nemtsov (i mandanti non sono mai stati cercati) che hanno ricevuto condanne da 11 a 20 anni.

 

Prima di essere imprigionato, Kara-Murza è stato avvelenato per due volte. Nel 2015, si ammalò dopo una colazione in un café a Mosca: finì in terapia intensiva e poi in coma per un’insufficienza a diversi organi, tra cui il cuore. Non si è mai capita la natura dell’avvelenamento. Sopravvisse per miracolo, ma la guarigione è stata lunga: il sistema nervoso periferico era danneggiato, non riusciva a muovere una gamba e un braccio, aveva difficoltà a parlare. Due anni dopo, nel 2017, stessi malesseri dovuti a un “avvelenamento da una sostanza non identificata”. Nulla di tutto questo – né l’uccisione di Nemtsov né gli avvelenamenti – lo hanno fermato.

 

Kara-Murza ha continuato a lavorare e impegnarsi per una Russia più libera, democratica ed europea, ad esempio lavorando con John McCain per l’approvazione del Magnitsky Act, la legge americana che iniziò a sanzionare gli ufficiali russi responsabili di violazioni dei diritti umani (a partire dall’uccisione in carcere dell’avvocato Sergei Magnitsky): proprio in virtù degli anni di collaborazione contro il Cremlino e perché rappresentava la resistenza russa, il senatore repubblicano prima di morire indicò Kara-Murza tra gli amici che avrebbero avuto il compito di portare la sua bara al funerale. Uno dei capi d’imputazione più gravi, per cui Kara-Murza è stato condannato, è proprio un discorso tenuto il 15 marzo del 2022, poche settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, alla Camera dell’Arizona, lo stato del senatore McCain. In quel discorso, dopo aver paragonato Putin a Mussolini e i suoi metodi a quelli delle pagine più buie dell’Unione sovietica, Kara-Murza indicò una prospettiva per il suo paese: “Sappiamo che arriverà un giorno in cui la Russia diventerà un normale paese europeo. Credo sia nell’interesse non solo di noi russi ma anche di tutti voi della comunità internazionale avere a Mosca un governo che rispetti i diritti e le libertà del proprio popolo e che si comporti da cittadino responsabile sulla scena internazionale”.

 

Ciò che sorprende è come, dalle nostre parti, al grande coraggio di quest’uomo corrisponda pochissima attenzione da parte del mondo pacifista. La galassia che dice di preferire i metodi nonviolenti alla reazione armata, una Russia legata ai valori europei anziché divisa dall’Europa, non si è per ora mobilitata per chi si batte per una Russia europea e per chi il pacifismo non lo declama ma lo pratica, per giunta laddove il prezzo da pagare è elevato: la libertà, e molto spesso la vita.

 

Mentre sono molte le manifestazioni contro il governo e l’Europa e la Nato, colpevoli di aiutare con le armi l’Ucraina a difendersi, non ci sono iniziative di solidarietà nei confronti di chi in Russia sacrifica la propria libertà per fermare chi bombarda l’Ucraina. Niente appelli sui giornali, nessun sit-in davanti all’ambasciata russa, neppure un hashtag sui social. I nostri pacifisti sono più impegnati a trovare un compromesso con la Russia di Putin che a supportare i pacifisti che in Russia si oppongono al regime di Putin. Senza considerare, o forse sì, che in un accordo fatto su queste basi, la nostra “pace” la pagherebbero gli ucraini e i dissidenti russi. Ma questo non è pacifismo, si chiama cinismo.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali