Scaffali vuoti di un supermercato inglese (Chris J Ratcliff / Getty Images)

Che succede nel Regno Unito

Ancora uno scontro sulla Brexit, ma agli inglesi interessano di più i cetrioli

Laura Loguercio

L’ex premier Boris Johnson e i suoi alleati votano contro il governo Sunak e il suo accordo con l’Ue sul Protocollo nordirlandese. Agricoltori e consumatori si preoccupano degli scaffali vuoti e dei prezzi alti

Londra. La Camera dei Comuni oggi ha approvato lo “Stormont brake”, il primo pezzettino dell’accordo tra Regno Unito e Unione europea sul Protocollo nordirlandese che dovrebbe concludere la vicenda Brexit e anche sanare i rapporti burrascosi tra le parti. Il voto farà comunque discutere perché il premier Rishi Sunak, il primo conservatore a inserire nel dibattito sul divorzio dell’Ue un po’ di razionalità, si è trovato di fronte alla rivolta prevedibile del Dup nordirlandese e dei falchi della Brexit, ma anche a quella inaspettata dell’ex premier Boris Johnson e dei suoi alleati. La conta dei voti quindi è diventata, come spesso accaduto negli anni passati, una conta interna al partito conservatore, diviso in correnti inconciliabili che riversano spesso le loro ostilità sulla Brexit. Fosse questo un affare dei Tory si potrebbe anche dire pazienza, ma non lo è: ne risente l’Europa, certo, ma ne risentono tantissimo anche il Regno Unito e gli inglesi nella loro vita quotidiana.

 

Alla fine di febbraio, le più importanti catene di supermercati britannici, da Tesco a Morrison ad Asda e Aldi, hanno introdotto delle nuove regole: per pomodori, peperoni, insalata e cetrioli si possono prendere due pacchetti a testa, tre in alcuni casi, non di più. È il modo di fronteggiare la carenza di prodotti freschi che sta lasciando vuoti molti scaffali e che ha contribuito a far salire l’inflazione, arrivata a febbraio al 10,4 per cento. Durante i mesi invernali, il Regno Unito è solito importare grosse quantità di frutta e verdura dall’estero, in particolare dalla Spagna e dal Marocco, che però quest’anno hanno avuto un clima anomalo che ha lasciato sguarnite le provviste, ma ha anche fatto emergere un problema tutto britannico. Gli agricoltori inglesi non coltivano più, e da anni centinaia di serre rimangono vuote a causa degli eccessivi costi dell’energia, dei profitti insufficienti e della mancanza di sussidi da parte del governo. La Brexit, con le sue nuove regole sui trasporti internazionali e sull’arrivo di lavoratori dall’estero, non aiuta.

 

Lee Stiles, segretario dell’Associazione degli agricoltori della Lea Valley, un’area agricola a circa 50 chilometri da Londra, dice al Foglio: “Da decenni i supermercati portano avanti una guerra gli uni con gli altri per cercare di offrire i prezzi più bassi ai rispettivi clienti. Alla fine sono i produttori a pagarne le conseguenze, ritrovandosi a dover tagliare il più possibile i costi di produzione”. Secondo Stiles, “oggi siamo arrivati al punto in cui non è più conveniente per gli agricoltori continuare a coltivare ai prezzi offerti dai supermercati, perché i costi dell’energia sono troppo alti e i prezzi di vendita troppo bassi”. Con oltre 180 ettari di terra adibita alla coltivazione, la Lea Valley produce il 75 per cento dei pomodori e dei cetrioli del Regno Unito. A causa dei problemi che colpiscono il settore, però, già lo scorso anno metà degli agricoltori hanno deciso di non avviare nemmeno il processo di semina per evitare perdite economiche. “Nel 2022 il pubblico non si è accorto delle carenze di prodotti britannici perché le importazioni da Spagna e Marocco sono arrivate regolarmente”, spiega Stiles, ma quest’anno gli agricoltori della Lea Valley hanno continuato a lasciare le serre e i campi vuoti, mentre l’arrivo di merci dall’estero è calato drasticamente.  Secondo un nuovo rapporto pubblicato dell’Ufficio nazionale di statistica, a febbraio i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 18,2 per cento, il tasso più alto degli ultimi 45 anni. La causa principale è rappresentata proprio dalle verdure, i cui prezzi sono saliti del 18 per cento.

 

Oltre tre quarti degli 80 agricoltori attivi oggi nella Lea Valley sono di origine siciliana: la zona è nota come “Little Siciliy”. Tra di loro c’è c’è Tony Montalbano, direttore di Green Acres Salads, azienda a conduzione famigliare attiva da tre generazioni e tra i principali coltivatori di cetrioli del Regno Unito. Nel tentativo di limitare le perdite economiche, quest’anno Montalbano ha deciso di posticipare la semina, normalmente prevista per dicembre: “Avevo intenzione di cominciare ad aprile, ma poi mi è stato chiesto di anticipare per aiutare i supermercati – dice – Lo scorso anno abbiamo chiuso la stagione in perdita e ho dovuto utilizzare i miei risparmi. Se quest’anno non raggiungiamo la parità nei bilanci, sarà un grosso problema. Non saprei come continuare”. Centinaia di piccole aziende come Green Acres Salads, che coltivano principalmente in serra, non ricevono alcun aiuto dal governo, a differenza degli agricoltori che usano campi all’aperto per i quali è più facile beneficiare dei sussidi statali. “Lo scorso anno i prezzi dell’energia sono aumentati di cinque volte, ma il prezzo di vendita dei miei prodotti non è cresciuto altrettanto”, dice Montalbano: “Al contrario: i prezzi di vendita sono scesi”, così come i ricavi.

 

A livello nazionale, la National Farmers Union (Nfu) da tempo chiede al governo di intervenire per garantire sostegno agli agricoltori. “Continuiamo a vedere una serie di problemi che fanno rimanere vuoti gli scaffali nei supermercati, dai costi dell’energia alle condizioni climatiche”, scrive il vicesegretario David Exwood in un comunicato inviato al Foglio: “La resilienza del sistema alimentare britannico è andata persa, e il governo deve occuparsi seriamente di questo problema”. La Nfu ha calcolato che nei primi sei mesi del 2022 l’equivalente di oltre 60 milioni di sterline in frutta e verdura sono stati sprecati in tutto il paese a causa della mancanza di lavoratori nelle aziende agricole. Anche la Lea Valley si ritrova a fronteggiare una mancanza di manodopera sempre più preoccupante, che si aggiunge alle difficoltà date dagli alti costi di produzione e alla mancanza di incentivi economici. “Prima della Brexit, il 95 per cento dei nostri lavoratori era europeo”,dice  Stiles. In seguito sono arrivate molte persone dalla Russia e dall’Ucraina, ma la guerra scatenata da Putin ha cambiato di nuovo tutto. Oggi, i lavoratori agricoli arrivano da Nepal, Indonesia, Kazakistan e Stiles teme che in futuro il numero di coltivatori della Lea Valley continuerà a ridursi: “Negli anni Cinquanta avevamo oltre 600 aziende, ora ne sono rimaste 80, e a questo ritmo ne perderemo un ulteriore 10 per cento quest’anno”, spiega. Per ora il governo Sunak non sembra intenzionato a risolvere i problemi del settore agricolo in tempi brevi.