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testimonianze dal regno unito

Com'è triste la Brexit per i ragazzi italiani che sognavano Londra

Claudio Cerasa

Niente verdura al ristorante, ma anche niente lavoretti improvvisati per i non inglesi in un bar. Quattro storie per ricordarci che tutto quello che uno studente squattrinato un giorno cercava in Inghilterra oggi non può che cercarlo in Europa

Indovina chi viene a cena? La Brexit! E’ un mercoledì di marzo, siamo a Londra, siamo in un famoso ristorante italiano specializzato in carne nel cuore di Soho, siamo in compagnia di alcuni ventenni italiani che vivono da qualche anno nella capitale inglese e improvvisamente, durante le ordinazioni, la Brexit si presenta con prepotenza e plasticamente di fronte a noi. “Per favore, potrei avere anche un po’ di verdura?”. “Mi dispiace, ma la verdura non c’è”. Sono passate da pochi minuti le venti e la Brexit, la Brexit che ora comincia a presentare il conto agli inglesi costringendo il governo ad alternare la mano dura contro gli immigrati con la ricerca di un modo per fare arrivare più immigrati legali nel paese, sfiora anche chi è di passaggio a Londra e chi in passato ha conosciuto la bellezza di questa città attraverso una pratica oggi divenuta impossibile: sbarcare qui, nella City, senza quattrini, solo con un biglietto aereo, con qualche pound per sopravvivere una settimana, o poco più, e dedicare quel tempo a disposizione per cercare un lavoretto con cui provare a garantirsi la vacanza inglese.

 

Funzionava così ed era semplice: scegliere una via turistica della città, girarla tutta, infilarsi nei vicoletti, entrare almeno due ore prima dell’inizio della cena nel maggior numero possibile di locali, ristoranti, bar, pub, e chiedere la disponibilità o meno di un posto per fare qualsiasi cosa. Servire ai tavoli, pulire i bagni, lavare i piatti, occuparsi del back di un bar, armeggiare con una lavatrice scassata. Qualsiasi cosa. Di solito, così capitava negli anni Duemila, nel giro di due giorni, senza visto, il lavoro si trovava: paghe settimanali buone, mance extra non male, conto in banca aperto e carta di credito dopo due giorni. E oggi? Oggi niente verdura, per le ragioni che vedremo, ma anche niente lavoretti improvvisati per i non inglesi in un bar. Impossibile: per lavorare, serve un visto; se non hai un visto, non lavori; se vuoi lavorare senza visto, devi avere un datore di lavoro disposto a pagare il tuo visto. Possibile? Difficile. Risultato? Pochi camerieri, poca concorrenza, poca offerta, servizi peggiori. In pratica? Servizio lento, ordinazioni perse, ospitalità da rivedere.

 

Le ragioni? Le ha spiegate due giorni fa un sindacalista degli albergatori inglese, Raphael Herzog: “Il paese è in ginocchio a causa della carenza di personale in tanti settori, motivo per cui stiamo esortando il governo ad aprire maggiormente i confini dell’Ue e a dare alle imprese britanniche l’aiuto di cui molte di loro hanno così tanto bisogno”. E la verdura, direte, che c’entra la verdura? La Brexit, ha notato il New York Times, ha creato costi aggiuntivi e lavoro amministrativo in più per i trasportatori in Gran Bretagna. E se si unisce a questo il fatto che le temperature gelide in Spagna, il principale fornitore di ortaggi britannici, hanno danneggiato i raccolti, in particolare nella provincia spagnola di Almería, si capirà perché, negli ultimi giorni, cinque importanti catene di supermercati in Gran Bretagna hanno limitato il numero di alcune verdure che i clienti possono acquistare (Lidl, la catena tedesca di supermercati discount, ha dichiarato di aver limitato la vendita di cetrioli, peperoni e pomodori a tre per cliente, unendosi ad altre quattro catene – Tesco, Asda, Morrisons e Aldi – che hanno limitato le vendite di alcuni prodotti). 

 

Nulla di grave, nulla di drammatico, la carne era buona, i salumi pure, il servizio non molto, e pazienza se anche la frutta nei ristoranti non si trova e pazienza se il pane, arrivato fino a cinque pound nei supermercati, tende a essere servito con parsimonia, ma la Brexit, nel quotidiano, nel quotidiano degli italiani che vivono da qualche anno a Londra, qualcosa ha cambiato, e dopo esserci fatti una ragione della nostra verdura (e della nostra frutta) perduta, abbiamo chiesto a quattro ragazzi cosa la Brexit ha cambiato nelle loro vite.

“La Brexit – ci dice Guglielmo Santamaria, ventuno anni – ha cambiato molto perché noi europei a Londra (1,1 milioni secondo l’Office for National Statistics) non siamo più parte integrante di un progetto utopistico di integrazione, ma l’ultima ruota del carro di un sistema che prende quanto più possibile, restituendo il minimo. Ora, restare qui non è un diritto, ma un favore di uno stato che sa che chi ha lottato per studiare e lavorare in istituzioni all’avanguardia e cosmopolite difficilmente rinuncerà al proprio sogno e andrà via. Al di là del dover rimanere qui per non perdere il settled status, lontano da famiglia e amici, al di là della verdura che scarseggia nei supermercati e dell’inflazione, la Brexit ci fa sentire ospiti nella nostra seconda casa. Chissà se ciò importa o se fa addirittura piacere a chi gridava take back control, chiedendo che solo i britannici godessero della ricchezza creata da tanti stranieri. Chissà se invece iniziano ad accorgersene anche loro, senza però volerlo ammettere”.

Altro giro, altro bicchiere, altra opinione. Dice Umberto Belluzzo, ventuno anni anche lui: “Per chi, come me, ha avuto la fortuna di ottenere il pre-settled status, la vita dopo Brexit non ha subìto cambiamenti radicali. Per uno studente europeo, le agevolazioni universitarie e lavorative sono rimaste le stesse rispetto agli studenti inglesi. Pago le stesse tasse universitarie degli studenti inglesi e le opportunità di lavoro rimangono equivalenti a quelle dei miei coetanei. Credo che la Brexit abbia causato più danni agli inglesi che agli studenti europei con pre-settled status. Possedendo un passaporto europeo, ho l’opzione di viaggiare e lavorare liberamente oltre la Manica, mentre i miei coetanei inglesi hanno più difficoltà a lasciare l’isola. I sostenitori della Brexit hanno ottenuto l’opposto di quello che credo desiderassero. Gli studenti inglesi sono svantaggiati rispetto agli studenti europei con pre-settled”. 

 

Un sorso di vino e la palla passa a un altro ventenne: Fabio Carolla. “Sono arrivato in Inghilterra il 10 settembre 2020, quindi circa tre mesi prima dell’effettiva entrata in vigore della Brexit. Al mio arrivo, Londra stava affrontando una delle sue più dure ondate di Covid, tanto da entrare in lockdown per circa un mese. E’ dunque difficile per me fare un’analisi dell’impatto effettivo della Brexit sulla quotidianità. Già a settembre la City – dove passavo la maggior parte del tempo – era quasi un quartiere fantasma, in gran parte per via del Covid, ma in una certa misura anche in previsione del duro impatto della Brexit sul prossimo futuro della finanza londinese. Discorso diverso, invece, è la quantificazione delle sfide Brexit sulla mia vita da studente. Laureandomi nel 2023, rientro nella classe ‘fortunata’ di persone che beneficiano ancora di tasse a livello ‘home’ (circa 9.250 sterline) con le agevolazioni dello Student Finance. Tanti altri studenti europei, però, non hanno avuto la stessa fortuna e – a partire dalla classe ’24 – si sono visti le loro tasse arrivare a oltre 24.000 sterline annuali, senza poter usufruire delle agevolazioni governative. In questi termini, la Brexit ha stravolto radicalmente la vita di molti studenti e aspiranti studenti universitari a Londra”. 

 

E infine ecco l’ultimo nostro commensale, Niccolò Babbini: “Fortunatamente, anch’io rientro tra gli italiani che si sono trasferiti a Londra prima dell’entrata in vigore delle nuove normative. La Brexit ha influenzato sicuramente di più le vite di tutti coloro che sono entrati nel paese dopo il 2020 e di chi si immagina un futuro nel Regno Unito in questo momento, ma anche noi che eravamo già nel paese ne subiamo le conseguenze. Più passa il tempo, più vengono a galla nuovi problemi legati all’uscita del Regno Unito dall’Ue. Uno dei problemi che tocca noi studenti più da vicino è l’aumento del costo del cibo. Non potendo più importare prodotti altrettanto agevolmente dall’Unione europea, e vista la mancanza di lavoratori, per esempio nel settore dei trasporti di merci (lavoratori per la maggior parte europei, in gran parte licenziati per via di costi troppo alti per le aziende che avrebbero dovuto sponsorizzarli), il prezzo del cibo al supermercato e al ristorante è salito vertiginosamente. Particolarmente alti al momento sono i prezzi di frutta e verdura (ammesso che si trovino al supermercato, il che non è per nulla scontato). Per dare un’idea dei costi, delle semplici zucchine sono in vendita a più di due euro l’una”.

 

Piccole esperienze, piccole storie, piccoli episodi di vita quotidiana, che uniti però al fatto che il Regno Unito dal referendum sulla Brexit è diventato la peggiore economia del G10, con la peggiore inflazione in Europa, con i tempi di attesa del servizio sanitario più alti di tutti i tempi, con ripetuti scioperi pubblici che si susseguono come se non ci fosse un domani, sono lì a ricordarci, anche a cena, che tutto quello che uno studente squattrinato un giorno cercava in Inghilterra oggi non può che cercarlo in Europa e che tutto quello di cui l’Europa oggi ha bisogno è ricordarsi che regalo ha fatto la Brexit a tutti i paesi europei che sognano di diventare un giorno quello che è stata l’Inghilterra per molte generazioni: la culla del merito, la terra dell’opportunità, il paese dei sogni. Anche dietro a una lavastoviglie scassata

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.