Foto Epa, via Ansa

Non è esagerato dire che la Brexit done serve alla pace

Dario Trimarchi

La Narcoguerra nell’Irlanda del nord all’ombra dell’accordo tra Londra e Bruxelles

È una notte del 2012 a Londonderry. Majella O’Donnell sta accompagnando il figlio Philly a Creggan, in periferia. È lì che Philly dovrà essere gambizzato, e sua madre lo sa: lo ha portato lì apposta. A premere il grilletto che lo colpirà alle gambe saranno i membri della Nuova Ira (Irish republican army, l’Esercito repubblicano irlandese), ovvero ciò che rimane del vecchio gruppo secessionista. I suoi leader hanno imposto la tolleranza zero verso gli spacciatori nei quartieri cattolici: si parte con la dissuasione verbale, ma per i recidivi c’è la morte. Philly aveva già ricevuto diversi avvertimenti per le sue attività di spaccio e consumo, ma non era riuscito a smettere. Alla fine, l’Ira gli ha dato una scelta: o la morte o la gambizzazione. Sua madre, per salvarlo, ha scelto la seconda, accompagnandolo personalmente dagli esecutori. Rivolgersi alla polizia non è un’opzione nei quartieri cattolici di Derry: i poliziotti sono nemici naturali e l’Ira detta le regole. La storia di Majella, raccontata nel docufilm di Sinead O’Shea “A Mother Brings Her Son to Be Shot”, non è un caso isolato: è l’ennesima cicatrice di una guerra civile che è diventata narcoguerra.

   

I Troubles in Irlanda del nord – il conflitto fra i protestanti unionisti fedeli alla monarchia e i cattolici repubblicani che cercano l’unificazione con Dublino – si sono conclusi ufficialmente nel 1998. Dopo la Brexit, le tensioni si sono riaccese e l’Ulster è rimasto sospeso nel limbo: economicamente è nell’Ue, politicamente è nel Regno Unito. Il premier britannico Rishi Sunak con l’accordo sul Protocollo irlandese ha dato una svolta alla Brexit, ma la pace è un lavoro lungo, e quotidiano. A Belfast, dove in alcuni quartieri ci sono ancora muri tra cattolici e protestanti, la violenza si è spostata su un nuovo terreno: la droga.

 

Da un lato, il paramilitarismo unionista (o meglio, lealista) si è trasformato in narco-gangsterismo; dall’altro, i repubblicani della Nuova Ira hanno fatto della guerra alla droga la loro  ragione d’essere. Negli anni ’70-’80, in Ulster di droga ne girava poca. Erano gli anni in cui i cattolici e i protestanti vivevano separati: nei quartieri ci si conosceva tutti e i “piccoli criminali” finivano spesso dietro le sbarre, ottenendo il rilascio solo in cambio di informazioni sull’Ira. Quindi, se per limitare il numero di informatori bisognava limitare anche il numero di delinquenti comuni con la forza, così doveva essere. Il reclutamento dei delinquenti comuni era, invece, una scelta obbligata per le milizie protestanti: mentre un secessionista militante poteva servire la causa repubblicana soltanto nell’Ira, un convinto lealista poteva optare per la “via legale” ed entrare in polizia. E’ così che i piccoli delinquenti, e con loro la droga, si sono infiltrati fra i lealisti.

 

Con gli accordi del 1998 e la (parziale) desegregazione, le comunità hanno cominciato a mescolarsi: è diventato più facile muoversi da un quartiere all’altro,  per chi consuma e per chi vende. Se a ciò si aggiunge una situazione economica disastrosa e le ferite ancora aperte della violenza passata, non sorprende la forte domanda di sostanze stupefacenti. La droga ha assunto una dimensione politica in cui la Nuova Ira gambizza i narcotrafficanti e i consumatori per svuotare le tasche dei lealisti. Il recente attacco contro un agente di polizia a Omagh, il primo dal 2017, è un indicatore delle tensioni che riemergono. Per la cronaca, la vittima si occupava di due indagini: quella sui paramilitari (unionisti e repubblicani) e quella sul traffico di stupefacenti – due facce della stessa medaglia.

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