L'intervento
La Russia egemonica e la questione dell'“azzardo morale”
La risoluta risposta occidentale all’invasione dell’Ucraina ha spinto i leader cinesi a dubitare dell’opportunità di invadere Taiwan. Ma è solo uno dei fattori su cui si gioca l'equilibrio internazionale
Pubblichiamo in esclusiva ampi stralci della lectio magistralis che Mark Kramer, direttore del Centro Studi Cold War dell'Università di Harvard, pronuncerà domani a Udine, Kramer inaugura il Forum internazionale “Terre di confine. Dalla Guerra fredda ai conflitti dei nostri giorni”, promosso da Friuli Storia con l’Università di Udine e l’Università di Harvard, Cold War Studies Project.
A posteriori, possiamo domandarci se le incursioni russe in Ucraina nel 2014 e nel 2022 si sarebbero potute evitare qualora i governi occidentali avessero risposto in modo più deciso e coerente alle ripetute violazioni dei confini dei Paesi vicini da parte della Russia a partire dai primi anni ‘90. Intenzionalmente o inavvertitamente, dopo il 1991 i leader occidentali hanno dato l’impressione di considerare le ex repubbliche sovietiche come parte di una sfera di influenza russa (o di ciò che i leader russi chiamano “estero vicino”). Alcuni funzionari in Europa centrorientale, soprattutto in Polonia e nei tre Stati baltici, hanno espresso sin da subito grave preoccupazione per quelle che percepivano come ambizioni egemoniche russe sull’intera regione, ma fino al 2014 questa non è stata la posizione della maggior parte degli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato). In generale, i governi occidentali hanno fatto ben poco per dissuadere la Russia dal violare i confini degli Stati limitrofi.
Il problema è che questo approccio ha dato adito a un “azzardo morale”. Il concetto di “azzardo morale” è mutuato dal mondo delle assicurazioni. Le compagnie assicurative sanno da tempo che il comportamento di chi ha un’assicurazione tende a essere diverso da quello di chi ne è privo. Ad esempio, un cliente che sottoscrive una polizza accessoria per il proprio veicolo potrebbe essere tentato di guidare in modo più spericolato, con la certezza che in caso di incidente tutti i costi saranno coperti. Dunque, l’azzardo morale significa fondamentalmente che i cattivi comportamenti vengono premiati. Se un paese di grandi dimensioni (X) viola regolarmente la sovranità e l’integrità territoriale dei più piccoli paesi con cui confina senza che ciò comporti alcuna punizione, i leader del paese X si abitueranno a comportarsi in questo modo e saranno poco incentivati a evitare altri abusi simili in futuro. Anche se il paese X si è impegnato, nel quadro di documenti giuridicamente vincolanti, a rispettare i confini e l’integrità territoriale degli altri paesi, chi lo governa potrebbe avere la tentazione di rinnegare tali impegni se la situazione dovesse richiederlo.
Questo è esattamente quanto è accaduto nel caso della Russia e della postura dominante che quest’ultima ha assunto nei confronti delle altre ex repubbliche sovietiche negli anni ‘90 e 2000. Durante la presidenza Eltsin e nei primi anni di Putin, i governi dei paesi Nato raramente hanno reagito alle prepotenze, alle intimidazioni, alla destabilizzazione e alle violazioni della sovranità dei Paesi limitrofi da parte della Russia. I leader russi hanno finito per attendersi di poter agire impunemente. Quando finalmente i governi occidentali hanno iniziato a esprimere forti preoccupazioni circa le incursioni militari russe nei Paesi limitrofi nel 2008 e nel 2014, la reazione di Mosca è stata dura. Dopo aver avuto mano libera per anni, il Cremlino non aveva alcuna intenzione di lasciarsi d’improvviso porre un freno e di essere chiamato a rispondere delle proprie azioni. L’aspra retorica antioccidentale di Putin e la sua rabbiosa condanna delle politiche occidentali riflettono la sua profonda convinzione che l’Occidente stia cercando di defraudare la Russia del suo ruolo “naturale” di “grande potenza” che ha diritto a una propria sfera di “interessi privilegiati”.
L’azzardo morale scaturito dal comportamento russo nell’ex Unione Sovietica mette in luce un insegnamento di più ampio respiro, che riguarda le norme dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini in Europa, in Asia orientale e in altre regioni. Queste norme non si difendono da sé. Poiché nel sistema internazionale non esiste un’autorità sovranazionale che possa chiamare le grandi potenze a rispondere delle loro azioni, le norme di condotta dipendono dalla volontà dei singoli stati di difenderle. Per molti anni, nessuna potenza esterna è stata disposta a scontrarsi con la Russia per il suo comportamento verso le ex repubbliche sovietiche. Di conseguenza, i leader del Cremlino si sono abituati a violare impunemente i confini degli Stati vicini. Se le potenze esterne avessero agito più precocemente, forse il comportamento russo sarebbe cambiato e i conflitti violenti che ne sono conseguiti nel 2008 e tra il 2014 e il 2023 si sarebbero potuti evitare.
Le conclusioni che si possono trarre dal caso russo sono particolarmente pregnanti alla luce dei tentativi della Repubblica popolare cinese di estendere la sua influenza nel Mar cinese meridionale, in Asia meridionale e in Asia centrale. Dopo aver represso nel sangue il movimento democratico nel giugno 1989, i leader comunisti cinesi hanno pagato un prezzo relativamente basso. Allo stesso modo, il regime brutale imposto in Tibet e la repressione genocida messa in atto nei confronti degli uiguri nella provincia dello Xinjiang non hanno suscitato che flebili reazioni da parte del resto del mondo. Di conseguenza, i leader cinesi hanno finito per attendersi che le atrocità da loro commesse all’interno del Paese resteranno impunite. Lo stesso vale per i tentativi della Cina di espandere la sua presenza in Asia orientale e meridionale e di tracciare nuove linee di demarcazione che favoriscano i suoi interessi. Benché i leader cinesi si facciano spesso vanto di quella che è, a detta loro, l’“ascesa pacifica” della Cina, nel corso dell’ultimo decennio la componente militare ha assunto un peso sempre maggiore nella politica estera cinese, con la creazione di isole artificiali destinate a ospitare guarnigioni militari nel Mar cinese meridionale, l’uso di manovre navali per stabilire linee di demarcazione e intimidire i paesi del Sudest asiatico e gli scontri di frontiera con l’India.
La consistente presenza militare statunitense in Asia orientale è stata l’unico fattore che ha dissuaso la Cina dal fare un uso ancor più assertivo delle sue forze militari.
Occorre riconoscere che, ad eccezione dei conflitti di frontiera con l’India, la Cina ha fatto molto meno affidamento sul ricorso alla forza contro i paesi vicini rispetto alla Russia. L’ultima guerra combattuta dalla Repubblica popolare risale al 1979, e i leader cinesi dispongono di potentissime leve economiche che hanno abilmente sfruttato in Asia, Africa e America Latina. Cionondimeno, il rafforzamento dello strumento militare e la sempre maggior propensione di Pechino alla proiezione di potenza in Asia mettono in evidenza la necessità di rispondere risolutamente alle provocazioni cinesi. Gli Stati Uniti si sono mossi nella giusta direzione, puntando sul consolidamento dei rapporti con i principali alleati (Corea del Sud, Giappone, Australia) e cercando di stringere legami più saldi con l’India e con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico nel suo complesso. Ma il governo statunitense deve anche riflettere su come rafforzare i rapporti politici e militari con Taiwan, uno stato de facto che i leader cinesi considerano una provincia ribelle. Ai sensi del Taiwan Relations Act del 1979, gli Usa forniscono a Taiwan assistenza e alcuni tipi di armamenti, aiutandola a premunirsi contro una possibile invasione cinese. Tuttavia, alla luce dell’incessante potenziamento delle capacità militari della Cina e delle recenti manovre che hanno simulato lo scenario di un’invasione anfibia, Taiwan avrà bisogno di un sostegno assai più consistente da parte degli Usa, preferibilmente accompagnato dall’adozione di misure più energiche da parte degli altri paesi dell’Asia orientale.
Quando fu approvato il Taiwan Relations Act (contestualmente all’abrogazione unilaterale del trattato bilaterale di mutua difesa da parte del governo statunitense), l’isola era ancora governata da una dittatura oppressiva. Nel corso degli ultimi 35 anni, tuttavia, si è trasformata in una florida democrazia che vanta una delle economie più ricche e tecnologicamente avanzate al mondo. Non v’è dubbio che la risoluta risposta occidentale all’invasione russa dell’Ucraina abbia spinto i leader cinesi a dubitare dell’opportunità di invadere Taiwan. Se la Russia subirà una chiara sconfitta e sarà costretta a ritirare le sue forze, in gran parte o in toto, dal territorio ucraino, i dubbi di Pechino sulla praticabilità di un’occupazione militare di Taiwan ne usciranno rafforzati. In tal senso, i due teatri sono strettamente interconnessi. La sconfitta della Russia in Ucraina costituirà un fattore di deterrenza per un’eventuale aggressione militare cinese contro Taiwan. Nel lungo periodo, non v’è dubbio che per difendersi Taiwan avrà bisogno di legami militari più saldi con gli Usa. Benché nel breve termine non sia concepibile un ritorno al trattato bilaterale di mutua difesa vigente dal 1954 al 1979, gli Stati Uniti dovrebbero riflettere sulla possibilità di dar vita a un consorzio militare regionale che includa Taiwan accanto a Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. La Cina vi si opporrebbe con veemenza e farebbe tutto il possibile per impedirne la creazione; tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero mettere in chiaro che il loro obiettivo non è indebolire la Cina, ma stabilizzare la sicurezza della regione e assicurare il riconoscimento dei confini esistenti.
(Traduzione di Angelica Coda)
L'editoriale dell'elefantino