Foto LaPresse

Caccia alle streghe (russe) in America. La Metropolitan Opera di New York epura Abdrazakov

Alberto Mattioli

Una gara all'ultima correttezza. Il più celebre basso del mondo ha deciso di prendersi “una pausa” nel suo rapporto con il teatro per solidarietà con le colleghe Anna Netrebko e Hibla Gerzmava cacciate dal Met

E tre. Dopo i soprani Anna Netrebko e Hibla Gerzmava, la Metropolitan Opera di New York epura la terza star russa, appunto perché russa. Ildar Abdrazakov, il più celebre basso del mondo, Boris all’ultima prima della Scala, l’ha annunciato in un’intervista, spiegando di aver deciso di prendersi “una pausa” nel suo rapporto con il teatro per solidarietà con le colleghe. Insomma, è lui a rinunciare al Met, ma forse era soltanto questione di tempo prima che il Met rinunciasse a lui. Tanti saluti sia al Roméo et Juliette di Gounod che all’Innominabile di Verdi. E dire che Abdrazakov non risultava particolarmente compromesso con il regime. Certo, ha partecipato a numerosi concerti in presenza della nomenclatura (e non si vede come avrebbe potuto non farlo) e ha pure ballato con una sottosegretaria alla Difesa, ma non si ricordano dei suoi particolari endorsement bellicisti. Insomma, l’immagine non è quella del putiniano a ventiquattro carati come il direttore d’orchestra Valery Gergiev, a suo tempo cacciato dalla Scala, anzi dal sindaco Sala, per non essersi dissociato dall’operazione militare speciale dell’amico Vlad.

   

Per carità: nessuno è più filo ucraino di noialtri, che Zelensky non solo l’avremmo fatto parlare a Sanremo ma lo faremmo anche cantare alla Scala e pure ballare, se vuole (tanto, dopo Paolo Conte, il Tempio è definitivamente sconsacrato). Ma l’impressione è che la caccia all’artista russo stia sfuggendo un po’ di mano. Con le richieste di abiure e le successive estromissioni si sta decisamente esagerando. Specie negli States, che quanto a dittatura, quella del politicamente corretto, non scherzano; e ancora di più all’opera, dove fra revisioni e perbenisimi e blackface e MeToo e cancel culture e quote etnico-sessuali è ormai una gara all’ultima correttezza, con censure applicate anche ai creatori morti tipo Mozart o Verdi e, per quel che riguarda gli interpreti vivi, richieste continue di comportarsi e pensare bene. Facile prevedere che prima o poi gli epuratori finiranno a loro volta epurati, finché non rimarrà nessuno con le carte in regola del pol. (Pot) corr. e sui cartelloni fuori dai teatri ci sarà scritto soltanto: affittasi.

 

L’Italia appare, per ora, relativamente immune. E così Abdrazakov ha appena potuto cantare La damnation de Faust a Napoli ed è atteso a Milano per il poker di cattivi dei Contes d’Hoffmann (dal 15 marzo alla Scala), e pure con una certa impazienza perché, macho e ipertestosteronico com’è, è l’attuale idolo operistico di sciure e gay: come dire, i nove decimi del pubblico. E qui, naturalmente, viene da pensare che forse non tutto questo delirio purificatorio viene per nuocere: se non altro, libera l’agenda di artisti per i quali di regola la domanda supera l’offerta. Infatti Netrebko è andata a fare un concerto addirittura ad Arezzo, non esattamente una capitale mondiale dell’opera e senza le annunciate proteste della comunità ucraina, anzi con cartelli di sostegno – “Anna grazie di esserci”, “L’arte unisce e non discrimina” – da parte dei devoti (italiani, occorre precisare). Insomma, con un po’ di sano cinismo potremmo forse approfittare delle purghe nei cartelloni altrui per riempire i nostri. E ricordare, magari, qualche precedente significativo. Per esempio, la prima esecuzione postuma, nel 1950, dei Vier letze Lieder di Richard Strauss da parte di Wilhelm Furtwängler, entrambi sicuramente non nazisti ma pur sempre, rispettivamente, presidente della Camera musicale del Reich e direttore dei Berliner durante tutto il regime. Il concerto si svolse alla Royal Albert Hall di Londra, ancora circondata dalle macerie dei bombardamenti tedeschi.