L'uomo tra due mondi

Per Zelensky la fedeltà non è un capriccio, è sicurezza. La storia di Kireev

Micol Flammini

Il banchiere-spia che ha salvato la capitale ucraina dall'assalto russo è stato poi ucciso dall'Sbu come un traditore. Ma chi si sentiva davvero tradito, Kyiv o Mosca? Una morte tra due mondi a partire da una foto

Nella foto dei primi colloqui tra le delegazioni di Russia e Ucraina qualche giorno dopo l’inizio dell’invasione, spunta un uomo: l’unico del gruppo ucraino in giacca e cravatta, seduto in fondo, calvo. Era il volto meno riconoscibile tra il ministro della Difesa,  Oleksii Reznikov, il consigliere del presidente Zelensky,  Mykhailo Podolyak, e il capo del partito Servitore del popolo, David Arakhamia, che aveva attirato l’attenzione per essersi presentato   con un cappellino da baseball in testa. Quell’uomo sulllo  sfondo era  la persona che a quel tavolo  sapeva più di tutti, ucraini e russi. Era Denis Kireev, banchiere, molto noto nel mondo della finanza, ben introdotto tanto a Mosca quanto a Kyiv. Era stato  Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina, a chiedergli di partecipare ai colloqui perché si fidava di lui e sapeva che conosceva due membri della delegazione russa. Kireev tentennò, ma per amore di patria decise di andare.

 

Gli venne chiesto, sempre da Budanov, di partecipare anche al secondo incontro, tentennò di nuovo ma disse comunque di sì: venne però arrestato dall’Sbu prima di partire e il suo corpo fu  ritrovato nel centro di Kyiv con un colpo di pistola nella parte posteriore della testa. Il Wall Street Journal ha indagato sulla sua morte, ha parlato con agenti dei servizi segreti americani e ucraini, amici e famigliari di Kireev e ha ricostruito cosa è accaduto all’uomo che aveva la fiducia del più falco dei generali di Zelensky, Budanov, ucciso come un traditore dalla principale agenzia di intelligence interna del paese, l’Sbu, e poi sepolto con gli onori militari nel cimitero di Baikove. La storia di Denis Kireev si muove in quel mondo di intersezioni tra Russia e Ucraina, due paesi  rimasti legati per lungo tempo e che con gli intrecci delle loro trame hanno tessuto le vite anche di tanti cittadini, russi e ucraini. Kireev era nato a Kyiv, aveva lavorato per istituti occidentali, era appassionato di spionaggio e nel 2006 aveva iniziato a lavorare per due fratelli nati più a est di lui, nel Donbas. Erano Andrii e Serhii Kljuev, diventati ricchi grazie ai metalli di cui la parte orientale del paese abbonda e  sfruttando il loro legame con l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich legato al Cremlino. Anche Kireev ottenne dei benefici da questa collaborazione  con i Kljuev e  Yanukovich: buoni incarichi, guardie del corpo e denaro. Le sue amicizie erano nel governo di Kyiv e naturalmente anche nel governo di Mosca e tutto questo poteva anche essere tollerato prima delle proteste  del 2014 in Ucraina e prima dell’annessione illegittima della Crimea da parte della Russia. Dopo  le manifestazioni, Yanukovich fuggì in Russia, i fratelli Kljuev anche, Kireev rimase in Ucraina e finanziò i volontari che erano pronti a combattere contro i separatisti aizzati e armati da Mosca nel Donbas. Non era un modo per pulirsi la coscienza, ma, come tanti in Ucraina, aveva diviso gli affari e la patria e quando si accorse che le due cose sarebbero state inconciliabili scelse con chi stare: la patria. 

 

Budanov lo notò nel 2021, quando la Russia aveva iniziato ad ammassare truppe al confine in una quantità che lasciava intuire non si trattasse di un’esercitazione militare. Budanov convocò Kireev, sapeva dei suoi due mondi, quello ucraino e quello russo, dei suoi rapporti tanto stretti che arrivavano molto vicino al Cremlino, ma sapeva anche della sua fedeltà a Kyiv. Gli chiese di indagare e Kireev partì in macchina verso il confine, diretto verso le sue conoscenze russe. Tornò   e raccontò i piani di Mosca, per filo e per segno. I suoi ex compagni, i Kljuev, si sarebbe scoperto in seguito, avrebbero dovuto far parte del governo fantoccio per sostituire Zelensky. Per arrivare a Kyiv, il piano dei russi era dettagliato  e fu proprio Kireev a sabotarlo. Non soltanto svelò la data dell’attacco, ma anche il fiore all’occhiello del piano: requisire l’aeroporto di Antonov, vicino Kyiv,  per trasportare truppe e attrezzature per attaccare la capitale. I piani dell’esercito ucraino  cambiarono nel giro di qualche ora e le truppe vennero spostate per difendere l’aeroporto. Kireev il 18 febbraio sarebbe dovuto partire per le sue vacanze invernali sulle Alpi francesi, ma sapeva tutto e decise di restare. Disse a sua moglie: “Se partissi non riuscirei a guardarmi negli occhi”. Budanov gli chiese di partecipare ai colloqui perché si fidava ciecamente, ma l’arrivo a quel tavolo aveva svelato la sua connessione con i servizi segreti, il banchiere ne era consapevole, sapeva che sarebbe stato un rischio, la fine del suo legame tra i due mondi: a questo erano dovuti i suoi tentennamenti. Ma scelse di rischiare. Prima che venisse catturato dall’Sbu, aveva vissuto  con il fucile in mano per respingere l’arrivo, che attendeva,  degli agenti russi. Il cinque marzo partì per presenziare al secondo round di colloqui, sempre in Bielorussia, questa volta in un luogo simbolico: la villa immersa nella foresta di Belaveza in cui venne decretata la fine dell’Urss. Non ci arrivò. 

 

A luglio, Zelensky licenziò il capo dell’Sbu, la consapevolezza che Mosca aveva trascorso anni e speso miliardi per infiltrarsi nella politica e nell’intelligence dell’Ucraina ha portato il presidente  a mettere Budanov a supervisionare tutte le agenzie e a cercare i traditori. La facilità con cui l’esercito russo è penetrato in certe zone del paese  ha mostrato che tra le agenzie di sicurezza c’erano uomini legati alla Russia.  Kireev era rimasto impigliato in quel mondo di mezzo tra Kyiv e Mosca e la verità potrebbe essere l’opposto di quanto raccontato dall’Sbu: non era Kyiv a sentirsi tradita.   

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.