Manovre pericolose nel Pacifico

L'America ha i nervi saldi e resiste alle provocazioni cinesi, anche militari. Il piano per il 2023

Giulia Pompili

Un caccia cinese intercetta un aereo da ricognizione americano in uno spazio aereo internazionale sul Mar cinese meridionale, e gli vola a distanza ravvicinatissima. Provocazioni e reazioni (e rischi) 

Il Comando delle Forze armate americane nel Pacifico, l’Indopacom, ha reso noto ieri il video di un caccia cinese che intercetta un aereo da ricognizione americano mentre vola in uno spazio aereo internazionale sul Mar cinese meridionale. Le immagini sono impressionanti, perché il pilota cinese si avvicina a tre metri dall’aereo americano, e per fargli cambiare rotta gli vola a circa sei metri davanti al muso, costringendo il pilota statunitense a compiere manovre evasive per evitare una collisione. L’incidente è avvenuto il 21 dicembre scorso, e non è la prima volta che succede in quell’area del Pacifico, dove la Cina rivendica gran parte delle acque anche grazie a una serie di isole artificiali costruite negli ultimi anni e poi militarizzate.

 

Nei mesi scorsi anche aerei di paesi alleati dell’America, canadesi e australiani, sono stati intercettati con manovre piuttosto aggressive da caccia cinesi. Il segretario alla Difesa americano,  Lloyd Austin, aveva già definito l’aumento delle provocazioni cinesi “allarmante”, come se cercassero deliberatamente l’incidente e lo scontro. Per il segretario di stato Anthony Blinken, sebbene la Russia sia una minaccia immediata, la Cina “è l’unica ad avere l’intento di cambiare l’ordine internazionale e il potere economico, militare e tecnologico per farlo”. Forse arriva con un po’ di ritardo, secondo alcuni analisti, ma adesso  l’America che ha guidato la resistenza dell’Ucraina con una strategia incrementale – dagli Himars ai Patriot – ha un piano.

 

 La scorsa settimana,  il gruppo d’attacco della Marina cinese guidato dalla portaerei Liaoning (ironia della sorte: venduta dall’Ucraina alla Cina nel 1998) è stato avvistato per la prima volta mentre navigava vicino all’isola di Guam, che è territorio americano. Le attività militari della Cina nel Pacifico stanno cambiando, e così cambia anche l’approccio americano, che nel frattempo accelera i lavori per una base militare dei Marine proprio a Guam (si chiamerà Camp Blaz). Di più. Washington sta costruendo quella che Blinken definisce una “convergenza strategica con gli alleati” per fare in modo che Pechino non solo riduca il suo bullismo militare, ma non immagini nemmeno di poter invadere l’isola di Taiwan.

 

C’è il riarmo del Giappone, la nuova strategia dell’Indo-Pacifico della Corea del sud, la riforma della Difesa di Taiwan, il patto strategico Aukus con l’Australia e il Regno Unito. E l’aumento della presenza militare americana nel Pacifico, anche condividendo di basi militari e infrastrutture strategiche con il Giappone, “per rafforzare le capacità di deterrenza e di reazione in modo unitario”. All’inizio di dicembre Ely Ratner, assistente del segretario alla Difesa per l’Indo-Pacifico, ha detto che il 2023 “sarà probabilmente l’anno di maggiore trasformazione della posizione delle Forze statunitensi nella regione dell’Indo-Pacifico in una generazione”. Anche per la Cina la priorità resta l’America, e si capisce dal fatto che ieri Pechino ha nominato prossimo ministro degli Esteri Qin Gang, falco vicino a Xi, che un anno e mezzo fa era stato spedito a Washington da ambasciatore.   

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.