Con Prigozhin la crudeltà diventa istituzione. L'orrore di stato da un libro alla guerra

Micol Flammini

Terrore e antisemitismo: i mercenari della Wagner come gli opricniki dello zar nel romanzo "La giornata di un opricnik"

Ci sono  russi che sono soliti  lamentarsi  di come vengono rappresentati dalla cultura americana. Dicono che esiste quella specifica categoria del “russo da film americano”, che parla con accento ridicolo, finisce per fare cose stupide ispirato da una spietatezza talmente crudele da sembrare irreale. Una cattiveria da russo da film americano che finché era rimasta sullo schermo faceva indispettire i russi, ridere il resto il mondo, sbuffare gli  amanti della cultura russa. E sarebbe potuto rimanere tutto così se non fosse che la ferocia ha superato la finzione, e non c’è più niente che faccia indispettire, ridere o sbuffare. Vladimir Sorokin è uno scrittore che nei suoi romanzi ha previsto molte cose e dopo l’invasione dell’Ucraina ha deciso di  trasferirsi in Europa.

 

Nel 2006 ha pubblicato un romanzo dal titolo “La giornata di un opricnik”, dove, in prima persona un  membro dell’opricnina racconta il suo lavoro. L’opricnina era la polizia segreta dello zar Ivan il Terribile, il braccio armato di tutte le operazioni più cruente dello stato. Non è un romanzo storico: Sorokin immagina il ritorno dello zar in una Russia tecnologica, chiusa in se stessa, ossessionata dalla preservazione della propria sacralità, inquietata dalla lotta contro l’occidente e le sue infiltrazioni e cautamente alleata della Cina. L’opricnik si chiama Andrej Komjaga, vive in una villa espropriata a un nemico dello zar: il vantaggio di essere un membro della polizia segreta è che si colgono direttamente i frutti della violenza perpetrata nel nome del sovrano. Qualsiasi azione compia Komjaga, che è un pezzo grosso,  è giustificata per amore della patria, trascorre il tempo fra esecuzioni sommarie, stupri, umiliazioni dei nemici, sbronze, espropriazioni, droghe, scorrazzando per tutta Mosca a bordo della sua macchina ultratecnologica su cui ogni mattina, in bella vista, dispone sul cofano la testa mozzata di un cane, segno distintivo di tutte le macchine degli opričcniki. Il sovrano a cui Komjaga e i suoi rispondono si vede poco in giro, non ha rapporti con la popolazione, se ne sta nel suo Cremlino dipinto di bianco a decidere come salvaguardare i valori tradizionali  e coltivare la grandezza della santa Russia. Sorokin ha detto di aver iniziato a scrivere il libro quando si è reso conto che il suo paese era funestato dalla violenza e che il percorso per la democrazia in cui aveva sperato non si sarebbe compiuto. Ha voluto ragionare sul perché la Russia fosse sempre stata piena di ferocia e ne è uscita una profezia. 

 

Vladimir Putin ricorda molto il sovrano nascosto del romanzo di Sorokin, anche nei suoi appelli ai valori e agli atti necessari per difendere i suoi cittadini, ma quello che più colpisce è che anche lui ha la sua opricnina, che non è un gruppo di polizia ma un vero esercito di mercenari, il gruppo Wagner, che ha compiuto per anni le azioni più illecite che il Cremlino non poteva rivelare e con l’invasione dell’Ucraina è uscito allo scoperto con tanto di onorificenze,  elevando a livello  istituzionale un linguaggio violento e brutale,  rendendo la ferocia un affare di stato. Questa settimana, gli uomini della Wagner hanno deciso di immortalare in un video un martello insanguinato che, per sceneggiata, minacciavano di mandare al Parlamento europeo.

 

Pochi giorni prima i canali dei mercenari avevano pubblicato le immagini dell’esecuzione di un “traditore”, che veniva massacrato proprio a martellate. La notizia della condanna a morte sommaria di un mercenario sarebbe stata sufficientemente cruenta, invece no, il capo della Wagner e suo finanziatore, Evgeni Prigozhin, ha deciso che le immagini andavano mostrate a monito per i futuri traditori: quando gli opricniki distruggevano le case dei nemici, violentavano le mogli e deportavano i figli, uccidevano il traditore e lasciavano il corpo esposto, secondo la stessa logica, per avvertimento. Prigozhin, giorni prima, aveva ritenuto opportuno rendere pubblica  la  decisione di creare una divisione separata per i combattenti violentati, che non sarebbero più degni di stare con gli altri: la colpa non è di chi violenta, ma di chi subisce. Della creazione di una società scorretta e orribile, Prigozhin sembra essere fiero, come lo è Komjaga nel libro.

 

Dopo gli attentati a Gerusalemme, il canale telegram dei mercenari Grey Zone,  ha definito Israele “una formazione territoriale temporanea”. Anche gli opricniki non nascondono  il loro antisemitismo, dicendo che esistono gli ebrei intelligenti, che stanno con la Russia, e quelli stupidi, che se ne vanno.  Prigozhin, proprio come il personaggio del libro, è il braccio armato del presidente sovrano. Il suo compito spietato è rendere reale un livello di violenza che è doloroso anche soltanto immaginare. La politica è un’altra cosa e gli opricniki, nel romanzo, se ne tengono fuori.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.