Foto di Sergei Grits, via LaPresse 

il laboratorio d'europa

Le elezioni in Danimarca sono un film: il protagonista si chiama Rasmussen

Antonia Ferri

Tra scandali, visoni "zombie" e stravolgimenti politici, le elezioni danesi si giocano sulla volontà di un moderato e sul desiderio da destra a sinistra di convergere verso una grande alleanza di centro

I danesi andranno oggi alle urne dopo che il governo della premier Matte Frederiksen è stato azzoppato dall'interno. Complici di questa storia un dirottatore politico interno all'esecutivo di minoranza e quattro milioni di visoni zombie.

 

Primo colpo al governo: la piaga dei visoni. Non è certo sufficiente da sola a portare alle elezioni di oggi ma è stata uno dei tasselli della crisi di fiducia nell'esecutivo di Frederiksen. La vicenda ha avuto inizio con la pandemia di Covid-19 e con il timore che gli animali, ammalati, si potessero contagiare ed espandere la malattia. Da qui la decisione, drastica per il paese che è il maggior produttore al mondo di pellicce di abbattere 17 milioni di esemplari, a cui sono seguite scene in diretta tv di agricoltori in lacrime. Eppure, il vero flop si è giocato sulla pelle di qualche milione di visoni che, invece di essere bruciati negli inceneritori, sono stati macellati e sotterrati, ma troppo in superficie. In seguito infatti sono riemersi e, dopo essere stati dissotterrati, sono stati smaltiti definitivamente. 

  

Così un evento, benché rovinoso e circoscritto, ha spostato le sorti della Danimarca. Adesso la battaglia si combatte all'interno delle istituzioni. La crisi politica è stata innescata dal partito dei Radicali liberali, che più di una volta ha paventato di togliere la fiducia al governo socialista di minoranza. Nello scacchiere politico danese i giocatori cambiano a rotazione ma l'esito è prevedibile, come sottolinea anche Politico: c'è una favorita, la premier uscente, socialdemocratica. C'è un leader della destra radicale (il Partito conservatore) che ha deciso di smarcarsi dagli alleati e provare a emergere, Søren Pape Poulsen. E c'è un ex primo ministro, fondatore di un nuovo partito di centro - i Moderati - che sembrava svanito e adesso si ritrova a muovere le pedine degli estremi: Lars Løkke Rasmussen.

  

Rasmussen - detto anche, "the comeback kid" - è stato due volte primo ministro, dal 2009 al 2011 e dal 2015 al 2019. Era a capo del Partito liberale, nel "blocco blu" di centrodestra, ma nel 2021, dopo il risultato elettorale deludente, ha deciso di fondare Moderaterne nella convinzione che la Danimarca abbia una sola necessità: un governo centrista. Così, il partito dei Moderati è oggi terzo nei sondaggi e si appresta a conquistare 21 posti su 179 in Parlamento. E sarà lui a decidere il nuovo governo, scegliendo se appoggiare l'una o l'altra frangia politica. La Danimarca potrebbe quindi diventare laboratorio politico di un nuovo possibile largo campo centrista. 

 

La premier Frederiksen, infatti, pur godendo di grande popolarità, non potrebbe da sola conquistarsi la maggioranza, e lei stessa nei mesi scorsi ha espresso il desiderio di un esecutivo meno radicale. Servirebbe in prospettiva della crisi energetica, dell'inflazione e, più in generale, delle conseguenze della guerra in Ucraina, tra cui il sabotaggio dei gasdotti NordStream, che passano anche dalle acque danesi. Tutto questo, con l'aggiunta dell'arresto del capo dei servizi danesi, starebbe guidando la sterzata al centro della premier.

 

Inoltre neanche il blocco conservatore riuscirebbe a conquistare una solida maggioranza. È l'emergente destra radicale, altro fenomeno in continuità con la Svezia (ma anche con l'Italia), che rimescola le carte. Infatti, Søren Pape Poulsen, il leader conservatore che sembrava in ascesa, è inciampato nel momento in cui si è scoperto che le affermazioni sul suo ex marito - ovvero che lui fosse ebreo, nonché parente dell'ex presidente della Repubblica Dominicana - erano false. La destra danese si è così spaccata tra due aspiranti capi di stato: Poulsen e il leader dei liberali. 

 

Per formare un nuovo esecutivo, sarà necessario l'apporto di Rasmussen, ma emerge con evidenza che, qualunque sarà il risultato di oggi e delle contrattazioni future tra i vari partiti, ci saranno dei leader più radicali che dovranno collaborare e governare con un centro sempre più decisivo.