Con la danese Mette Frederiksen la sinistra fa la dura sull'immigrazione

Micol Flammini

Domani si vota in Danimarca. Perché il partito socialdemocratico ha deciso di trasformarsi e di trovare una propria identità prendendo voti dal bacino elettorale dei conservatori

Roma. Domani si vota in Danimarca e secondo i sondaggi i socialdemocratici (Sd) dovrebbero vincere, salvo sorprese e ripensamenti. Sarebbe un segnale importante per le altre sinistre europee che si aggirano per i parlamenti nazionali in cerca di identità. Il nodo della questione danese, della rinascita di un partito che sembrava disperso tra le formazioni di destra e centrodestra, sta proprio nell’aver trovato una propria identità. Diversa da quella che ci si aspetterebbe da un programma socialdemocratico, ma la sinistra danese ha deciso di arrivare alle elezioni con delle dure proposte per controllare l’immigrazione. Creatrice del programma è Mette Frederiksen, accusata di aver spostato il partito un po’ troppo a destra, accusa alla quale ribatte dicendo che le classi più povere sono le principali vittime sia della globalizzazione, sia dell’immigrazione.

 

Quando il primo ministro uscente, Lars Løkke Rasmussen, ha annunciato la data delle elezioni, la Frederiksen era in ospedale per un’intossicazione alimentare. Ha iniziato la sua campagna elettorale con due giorni di ritardo, ma con un video che del personaggio dice moltissimo: la telecamera indugia sui bottoni della sua giacca, segue le maniche mentre scendono lungo le braccia, inquadra i capelli e infine il piede che, nudo, scivola nei tacchi. “Sono pronta di nuovo”, dice la Frederiksen guardando in camera. La quarantunenne ha conquistato così gli elettori, con la sua decisione e facendo sue delle battaglie che non appartengono alla sinistra tradizionale. Il suo partito, che ha già sostenuto politiche anti immigrazione, e anche le iniziative del Dpp, i popolari danesi alleati in Europa di Matteo Salvini, di incentivare i rimpatri anziché promuovere l’integrazione, ora nel programma chiede che i richiedenti asilo vengano trasferiti in centri di accoglienza in Nord Africa e che chi rimane sia disposto a lavorare trentasette ore a settimana in cambio di sussidi. In una serie di interviste, Mette Frederiksen ha anche sostenuto che sarebbe disposta a collaborare con il Dpp e se qualcuno pensava che l’esperimento di Sebastian Kurz in Austria di formare un’alleanza con l’estrema destra fosse ardito, l’idea della Frederiksen sembra fantascienza. Il partito socialdemocratico danese ha deciso di trasformarsi e di trovare una propria identità pensando, o rubando, voti proprio dal bacino elettorale dei conservatori. Anzi, anche alla destra più estrema ha preso qualche punto, se, come fa notare il quotidiano Berlingske, la Dpp in tre anni è passato dal 21 al 13 per cento. Il nuovo volto dei socialdemocratici ha anche respinto ogni dissenso dentro al partito, allontanando chi non sosteneva la linea dura contro l’immigrazione, argomento sul quale ha detto di non accettare compromessi. Che sia stata la Frederiksen l’autrice di un cambiamento all’interno dell’Sd, lo ha ammesso lei stessa: “Ero consapevole del fatto che spostare la posizione del partito avrebbe richiesto un sacrificio, ma ero convinta di dover vincere questa lotta”. Una necessità in parte dettata dalla base, dagli elettori storici che hanno valutato la politica anti immigrazione del governo uscente – ritenuto il più duro nella storia danese – come “troppo lassista”.

 

Mette Frederiksen è convinta che sia questa la strada per recuperare l’elettorato e anche per far ripartire le sinistre in tutta Europa che dovrebbero capire come l’immigrazione incontrollata abbia acuito le diseguaglianze e tolto diritti ai lavoratori. In Danimarca il numero dei richiedenti asilo è già diminuito, nel 2015 erano 11.000 e lo scorso anno sono diventati 2.700, ma per gran parte dell’elettorato è sempre troppo e l’Sd ha deciso di mutuare parole e slogan dalle destre. Riguardo al welfare, che dalla crisi del 2008 ha subito tagli durissimi, Mette Frederiksen non ha dato grandi risposte, ha dovuto parlare di tassazione, parola che i danesi non sono disposti ad ascoltare. Ma per ora rappresenta il cambiamento e qualcosa ha già cambiato davvero: il suo partito.

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